Con Fallout 3, Bethesda Softworks ha cercato di tracciare una nuova via per i giochi di ruolo, reinterpretando la storica saga dei defunti Black Isle Studios attraverso uno stile a metà tra il rispetto del glorioso passato e la voglia di sperimentare soluzioni innovative. Come risultato, l'ambientazione postatomica più famosa dei videogame è stata traghettata in un affascinante mondo 3d completamente esplorabile in cui, al di là della matrice ruolistica, si respirano gli accenti di altre correnti, dagli immancabili first person shooter al taglio sandbox dei moderni free roaming.
Partendo dalle ottime basi di Fallout 3, ma facendo riferimento per tutto il resto direttamente a Fallout 2, per Fallout: New Vegas, il nuovo capitolo della serie, Obsidian Entertainment, software house fondata da figure chiave di Black Isle, al posto di guardare ancora avanti, ha preferito voltarsi serenamente indietro e recuperare in maniera più profonda i legami con la tradizione del suo genere principe.
Se si esclude la diversa direzione artistica, l'estetica più eccentrica non tanto, o non solo, perché è Las Vegas, ma anche e specialmente perché è Fallout, saga da sempre sospesa tra humor e gore, con qualche cinica riflessione sulla società contemporanea piazzata lì in mezzo, il lavoro è quasi totalmente dietro le quinte, per inspessire la struttura del gioco di ruolo. Anche le dinamiche da first person shooter sono state oggetto di rifiniture, in modo da rendere gli scontri a fuoco più fluidi per chi non volesse attivare il Vats, il sistema di combattimento ibrido “a turni”, mutuato da Fallout 3, legato alle vecchie, care logiche a punti. È però sotto la scorza che l'impegno di Obsidian Entertainment ha dato i migliori frutti. Fallout: New Vegas è un intrigato groviglio di trame che si realizzano per mano del giocatore e delle sue scelte, in cui ogni momento è collegato all'altro e ciascuna decisione contribuisce a definire la complessa sequela di eventi di un racconto personale che non si limita ai finali multipli.
Il tema centrale su cui gli sviluppatori hanno costruito il videogame è la politica. Mentre in altri titoli ogni missione fa storia a sé, in Fallout: New Vegas, dove anche dopo gli orrori dell'olocausto nucleare i sopravvissuti continuano a consumare l'eterna lotta per il potere, i tasselli si incastrano tutti sullo sfondo degli interessi contrastanti di particolari fazioni, che incarnano ciascuna uno specifico sguardo sul mondo, e delle nostre possibili alleanze, in un sottile gioco etico e diplomatico in cui il fine, all'ombra di grandi cospirazioni, non è detto appaia subito chiaro.
Oltre ad aver riempito il contenitore di aspetti come l'intrattenimento dei casinò e le più strambe armi fai-da-te, aggiunto una modalità hardcore nella quale bisogna dormire, bere e mangiare regolarmente, ribilanciato le abilità affinché creare un alter ego diverso cambi effettivamente anche l'interpretazione, il segreto di New Vegas, come di altri giochi Obsidian, è più semplicemente che è ben scritto, i personaggi azzeccati, le vicende ben presentate, ogni azione contestualizzata, motivata e connessa. Qui, tutto accade per una ragione. Non ci si sente mai sprofondare nel nulla, si è sempre circondati da un universo vivo e vivace, un mondo denso, lontano da certi spazi morti e momenti inconcludenti di Fallout 3, che puntava più sull'atmosfera e rispetto al quale il nuovo capitolo ne perfeziona enormemente il gameplay, giostrando meglio la costruzione dei mille fattori con cui il giocatore scolpisce la sua esperienza e le mille storie che nascondono e rivelano, in un appassionante puzzle dalle molteplici soluzioni e quindi enigma ludico esso stesso, pian piano quella principale: un cammino di parecchie ore completamente modificabile, nel verso, nei tempi, nei modi, nei luoghi, dall'inizio alla fine, più e più volte.
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