Cacciando le gambe giù dal letto, mi misi a cercare i vestiti. Il programma prevedeva una bella lavata, con seduta meditativa e rasatura; il tutto seguito da una buona tazza di caffè e una focaccina della dispensa, ma a quanto pare ci dovevo rinunciare. Una musica d’orchestra prese a diffondersi dagli altoparlanti alle pareti. Era qualcosa di classico, stile ouverture, e aumentava gradualmente di volume in un crescendo irresistibile. Mi fermai un momento ad ascoltare, riconoscendo nell’opera tedesca lo stile di Wagner. Da non credere, si trattava proprio della Cavalcata delle Valchirie… – Smettila, Cervello – esclamai.

La musica si interruppe bruscamente: – Capitan Futuro pensava che l’avrebbe aiutata a destarsi.

– Sono sveglio. – Mi levai in piedi, infilandomi i pantaloni. Intravidi un movimento nella penombra nell’angolo vicino all’armadietto. Un attimo fuggente, prima di scomparire. – Ma c’è uno scarafaggio per caso? – dissi. – Non potresti fare qualcosa a riguardo?

– Mi spiace, Rohr. Ho effettuato un primo tentativo di disinfestazione, ma ancora non ho localizzato tutte le tane degli insetti. Se lascia aperta la porta della sua cabina, più tardi manderò un robot a…

– Lascia stare. – Finii di tirarmi su la lampo, indossai una felpa e cercai le mie scarpe aderenti. Dovetti inginocchiarmi sul vecchio tappeto per tirarle fuori, visto che si erano ficcate sotto il letto. – Ci penso io. 

Non c’era nulla di malizioso dietro la proposta del Cervello; semplicemente stava cercando di combattere uno dei tanti flagelli che affliggevano la Comet dalla sua partenza da LaGrange Quattro. Scarafaggi, pidocchi, formiche, finanche dei topi: tutte bestiole che infestavano regolarmente le navi che avevano avuto la ventura di fare tappa su Terra e zone limitrofe, anche se di rado avevo visto una situazione tanto drammatica. 

Ciononostante non mi sarei mai sognato di lasciare aperta la porta della mia cabina. Uno dei pochi privilegi di cui avevo goduto a bordo finora era la possibilità di tenerla chiusa e non intendevo certo consentire al capitano di ficcare il naso tra le mie cose. 

Probabilmente era convinto che facessi del contrabbando con la Stazione Cerere. Aveva ragione a sospettare di me (avevo preso una bottiglia di whisky al malto lunare che secondo la tradizione volevo donare al mio prossimo comandante) però non gli avrei permesso di gettarmelo nel lavandino solo per adempiere alle regole dell’Associazione. Norme che peraltro nessuno rispettava mai.

Indossate scarpe e cintura d’ordinanza, uscii dalla cabina, avendo cura di serrare la porta con l’impronta digitale del pollice. Il corridoio in lieve pendenza costeggiava le cabine del capitano e del primo ufficiale. Di sicuro questi si trovava già in plancia e probabilmente anche Jeri era con lui.

Per accedere all’unità rotante si passava da un boccaporto che immetteva in un pozzetto, ma prima di salire in plancia mi fermai nella stanza ufficiali per versarmi una tubotazza di caffè. Il posto era in condizioni disastrose; scatolette di cibo sparse per il pavimento e i resti della cena su un vassoio abbandonato in mezzo al tavolo. Tra il disordine e i rimasugli di cibo incrostato vagava tristemente un piccolo ragno-robot. Di sicuro il capitano era stato lì poco prima. Una fortuna, visto che altrimenti avrebbe certamente ordinato al sottoscritto di pulire il tutto. In una caraffa trovai un resto di caffè caldo, anche se l’odore e la densità del liquido facevano pensare che ristagnasse da diverse ore. Lo versai nella tazza con un po’ di zucchero e del latte semi-rancido recuperato dal frigorifero.

Come d’abitudine feci la mia classica carrellata di copertine di riviste pulp appese alla parete; tutte copie di roba che avrà avuto almeno un secolo di vita. Gli originali erano conservati nella loro custodia di cellophane e rinchiusi in un armadietto nella cabina del capitano, con il loro contenuto di scienziati pazzoidi che minacciavano ragazze procaci in tute succinte e astronauti dai caschi in stile boccia di vetro che lottavano contro buffi mostri alieni. 

I loro titoli rispecchiavano le fantasie dei ragazzi dell’epoca: “Oltre le stelle”, “Pianeti in pericolo”, “La gloriosa via degli astri”... ma uno svettava su tutti gli altri, a caratteri forti:

CAPITAN FUTURO

L’Uomo del Domani

Proprio in quell’istante il mio sogno fu interrotto da una voce possente, proveniente da sopra.

– Furland! Dove diavolo si trova?

– Nella stanza ufficiali, capitano. – Fermai la punta della tubotazza bloccandola con la cannula, e la riagganciai alla cinta. – Finisco il mio caffè e arrivo tra un minuto.

– Le do un minuto preciso per raggiungere la sua postazione, altrimenti le detraggo l’intera paga dell’ultimo turno! Porti qui quel culo da fannullone!

– Arrivo subito… – Uscendo dalla stanza, risalii il corridoio verso il pozzetto di accesso. – Bastardo! – borbottai sottovoce mentre passavo dal boccaporto, badando di stare fuori dal raggio della rete di bordo. Fannullone a chi?