Inception è, come previsto, un successo clamoroso anche in Italia. Una pellicola che, sorprendentemente in un’era dominata dall’intervento non sempre felice degli Studios, risulta essere la piena espressione del genio del suo sceneggiatore e regista Christopher Nolan, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi talenti del cinema contemporaneo che non sbaglia un colpo e che si trova al lavoro sulla nuova sceneggiatura di Batman 3 appena “sfornata” da suo fratello Jonathan. Un segno importante di come il cinema possa essere ‘salvato’ spesso da autori attenti ad un lavoro di qualità e che hanno la possibilità di non compromettere la propria visione. “Il risultato di Inception in tutto il mondo ha superato di grande lunga le nostre attese. Al tempo stesso, però, ci tengo a sottolineare che io ho sempre pensato a questo film come un prodotto destinato al grande pubblico e la mia paura era che venisse preso per un lavoro eccessivamente ‘cerebrale’.” Spiega Nolan “Desideravo offrire ad una grande massa di spettatori un’esperienza in grado di intrattenerli e divertirli.”
Quando è nato questo progetto?
Ho pensato a Inception per la prima volta una decina di anni fa e mi ci è voluto molto tempo per svilupparla come la desideravo. La mia prima ispirazione è stato il lavoro di Borges, e, dal punto di vista cinematografico, sono sempre stato un grande fan del cinema di Ridley Scott e di Stanley Kubrick: 2001 e Blade Runner sono tra i film che amo di più, ma Inception nasce come una risposta al movimento cinematografico di pellicole prodotte a cavallo della fine del ventesimo secolo. Film come Matrix, Dark City, Il Tredicesimo Piano e il mio film Memento mettono tutti in dubbio la natura della realtà e sulla nostra capacità di conoscerla per davvero. Sono pellicole che riflettono sullo sconvolgimento che potrebbe derivare dalla scoperta che tutto quello in cui crediamo si riveli per essere non vera. Inception offre un punto di vista diverso e pone al pubblico la domanda riguardo a cosa accadrebbe se potessimo creare noi stessi la realtà di un’altra persona? Quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura, l’idea dei sogni all’interno dei sogni, poteva risultare per il pubblico un concetto molto più alieno di quanto sia oggi in cui la realtà virtuale dei videogiochi con i suoi diversi livelli ci ha portato dinanzi ad un modo diverso di guardare al mondo. I menu sull’Ipod e le strutture differenti ci hanno tutti quanti abituato ad una concezione differente della realtà, della sua architettura della sua struttura. Io credo che questo tipo di esperienza renda più facile per il pubblico interagire con la storia di e l’architettura di Inception.
Il film, però, non ha solo un approccio cerebrale e rarefatto, ma anche d’azione…
Questo perché io adoro realizzare le scene d’azione e le considero come una forma molto pura e dinamica dell’arte cinematografica. Mi piace utilizzare il suono, il montaggio, la fotografia nella loro forma più ‘estrema’. Detto questo mi piace fare in modo che tutto, nel mio lavoro, si amalgami e che tutto nel film, a partire dall’azione, abbia un senso compiuto sul piano narrativo. È un meccanismo che ho adorato sviluppare in The Dark Knight e che in Inception ho trovato ancora più facile e affascinante in quanto la sfida principale per me era quella di spiegare al pubblico le regole dei singoli mondi in cui si sarebbero trovati. In questo senso la maniera migliore per farlo era lavorare sull’elemento fisico, perché la fisicità rappresentava la maniera migliore per raccontare le leggi presenti nella nostra realtà. L’azione serve a spiegare al pubblico le regole e la geografia del mondo in cui sono immersi i personaggi. Come cineasta sento la responsabilità di quelli che, in termini musicali, potrebbero definirsi come dei ‘crescendo’ del film e che conducono il pubblico fino alla fine della storia.
C’è un parallelo tra lei e il protagonista? Un regista è un creatore di sogni?
Quando scrivevo questo film, gravitavo naturalmente verso l’unica realtà creativa che conosco ovvero quella di fare cinema. È stato un processo spontaneo quello di creare un parallelo tra la squadra protagonista della mia storia e quello che faccio normalmente io, ovvero mettere insieme un gruppo di cineasti che, alla fine, realizzano sogni in grado di ‘ingannare’ lo spettatore. Non volevo fare un film che parlasse del cinema, ma, oggi, quando rivendo Inception mi rendo conto che ha proprio a che fare con questo argomento e questo tipo di processo creativo.
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