Nell’ampio filone delle storie sui viaggi nel tempo, la trilogia di Ritorno al futuro si pone come fondamentale spartiacque, dimostrando anche qui di essere – nel suo complesso – un grande omaggio alla storia della fantascienza. Un primo riferimento è al capostipite dei film sul genere: la campana della torre dell’orologio del 1955, quella su cui andrà a schiantarsi lo ‘storico’ fulmine, è infatti identica a quella che si vede nel film L’uomo che visse nel futuro. Il celebre film di George Pal del 1960 era tratto dal romanzo classico di H.G. Wells La macchina del tempo, opera fondatrice del filone dei viaggi nel tempo. In realtà a lungo la macchina del tempo è accostata, nella fantascienza, alla possibilità di viaggiare nel futuro; è quello che Marty e Doc faranno nel secondo film, giungendo nel 2015 (tra cinque anni quasi nulla di quanto visto al cinema sarà realtà!).

Il viaggio indietro nel tempo è una questione assai più complessa. Tra i romanzi capostipite c’è senz’altro La fine dell’eternità di Isaac Asimov (1955), da cui Zemeckis trae i fondamenti della teoria dei paradossi temporali e degli universi paralleli. Nel romanzo di Asimov, compito precipuo degli Eterni è quello di tornare indietro nel tempo – o meglio di spostarsi in un continuum del quale non fanno parte, in quanto essi vivono nell’Eternità – per rendere migliore la vita dell’umanità, rimuovendo tutti i più microscopici eventi le cui conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Si scopre così che basta spostare un contenitore da una mensola per evitare la Terza guerra mondiale. Proprio nello stesso anno del romanzo di Asimov, Poul Anderson pubblicava i primi racconti della “Pattuglia del Tempo”. I Daneeliti, che governano il continuum, sono chiaramente ispirati agli Eterni asimoviani, mentre al loro comando i cronauti viaggiano nel passato per reprimere i tentativi di forze criminose di cambiare la Storia. Come Andrew Harlan e Manse Eduard, anche Marty McFly scopre a sue spese che per cambiare il corso del futuro basta un evento insignificante come una mano infortunata di un chitarrista: senza quel chitarrista, la festa della scuola sarà sospesa, i suoi genitori non si baceranno mai e di conseguenza non si sposeranno, compromettendo la sua stessa esistenza stessa di Marty. Probabilmente un riferimento più vicino alla scelta di Zemeckis nel primo film lo si ritrova in un altro grande romanzo della fantascienza, Assurdo universo di Fredric Brown (1948). Non ancora un vero e proprio romanzo sui viaggi nel tempi, ma piuttosto una storia sugli universi paralleli. Keith Winton viene sbalzato (da un fulmine, guarda caso!) in una realtà alternativa che sembra uscito da un suo racconto di fantascienza: ebbene sì, perché anche Winton, come George McFly, è uno scrittore di racconti di science-fiction. Più di un elemento di analogia tra le due opere, quindi, ma soprattutto in comune l’happy-end: Keith Winton, infatti, farà ritorno nella sua realtà, leggermente modificata a suo vantaggio come Marty al termine del primo episodio della trilogia. Analogamente al romanzo di Brown, infatti, Ritorno al futuro propone l’idea che una piccola modifica possa, in fin dei conti, anche migliore il futuro stesso: così, il piccolo gesto di coraggio di George McFly avrà clamorose conseguenze nella sua vita futura, trasformandolo da negletto della società a uomo di successo. Qualcosa del genere tenterà di farlo Marty dal futuro, cercando di tornare nel passato con un almanacco sportivo per arricchirsi con le scommesse. Doc glielo impedisce, ma alla fine sarà il vecchio Biff ad approfittarne per cambiare il futuro a suo uso e consumo.

L’ispirazione più immediata per Ritorno al futuro fu tuttavia un film di appena un anno prima, che avrebbe avuto tanto successo da dar vita anch’esso a una fortunatissima saga: Terminator. Vero è che l’idea che avrebbe portato a Ritorno al futuro risale al 1980, almeno secondo quanto raccontato dagli ideatori del film; ma la produzione iniziò solo nel 1984, in tempo perché Spielberg e Zemeckis prendessero spunto dal successo del film di James Cameron. Ad accomunare i due film, il paradosso temporale classico: chi viene dal futuro (Marty, Kyle) deve garantire che vengano rispettate le condizioni di quel futuro, per evitare che un’intromissione imprevista lo faccia deragliare su un altro binario, dove il visitatore finirebbe per scomparire dalla realtà. Nel caso di Kyle, in realtà, l’intervento è eterodiretto: è John Connor che deve garantirsi la propria sopravvivenza facendo sì che il suo amico Kyle ingravidi nel passato la madre e diventi, così, il proprio padre. Se Kyle fallisce, John Connor scompare dalla realtà. Nel caso di Ritorno al futuro, Marty è protagonista-vittima al tempo stesso del corto circuito temporale verificatosi: se non riesce a convincere il proprio giovane padre a uscire con la sua futura madre, non si ripeteranno le condizioni che gli hanno permesso di esistere, di fatti rimuovendolo dalla realtà. In entrambi i film il paradosso assume contorni vagamente edipici, o perfino incestuosi: l’amico di John Connor mette incinta la madre di lui, diventando così suo padre; Marty rischia di sostituirsi al padre nella sfera sentimentale della madre, che s’innamora di lui invece che di George.