Ritorno allo spazio interno
Se la psicologia, la psicanalisi e le scienze della mente sono entrate nell’orizzonte della fantascienza, lo dobbiamo soprattutto al ruolo di James G. Ballard. Precursore delle suggestioni postmoderne, sensibilissimo alle interazioni tra sistemi di comunicazioni e psiche umana, Ballard seminò nella fantascienza idee che sarebbero state riprese a tutt’andare dalla New Wave, continuando poi a essere trasfigurate, in n variazioni sul tema, dagli esponenti del cyberpunk e non solo
Con Inception pare davvero che a Christopher Nolan sia riuscita l’impresa di sublimare in immagini le intuizioni del grande scrittore inglese sullo spazio interno della psiche umana. La coincidenza degna di nota, ancora una volta, riguarda l’uscita quasi in contemporanea con Avatar, che si fa in qualche modo portatore della concezione opposta della fantascienza, come esplorazione di scenari alieni in cui innestare metafore, analogie e paralleli con il nostro pianeta e i suoi problemi. Come sarebbe riuscito a Gibson in seguito, il 2001 di Odissea nello spazio e di Kubrick aveva già saputo distillare una sintesi tra outer space e inner space; il 2010 ne ripristina la separazione, con questi due titoli che, ciascuno alla propria maniera, fanno del world-building la loro colonna portante.Tanto lo spazio esterno di Cameron è maniacale nella riproduzione dell’ecosistema alieno, quanto lo spazio interno di Nolan sa dimostrarsi scrupoloso verso la costruzione di dinamiche psichiche che aiutino lo spettatore a raccapezzarsi nel labirinto della mente umana. L’intreccio indissolubile di spazio e tempo, di volumi e scansioni temporali, è reso con pregevole intuizione nelle scene cruciali del film. Nolan fa riferimento a un lessico minimo: totem, livelli, calcio, limbo, estrazione, impianto. E da questi frammenti edifica un universo credibile, in cui dipanare la sua storia sospesa tra epica ed elegia, reiterando il mito classico della discesa orfica nel regno dei morti.
Nei labirinti della mente: Inception
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