Uno spunto molto simile viene ripreso da Vincenzo Natali in Cypher (2002), aggiungendo sul tavolo però il carico da undici delle manipolazioni mentali e delle tecniche di brain-washing. Il film è una piccola produzione che si segnala per l’idea di base, le cui potenzialità vengono tuttavia vanificate da performance recitative non sempre all’altezza, con gli attori che come accade al protagonista finiscono per ritrovarsi fuori ruolo per ben più del tempo che gli è strettamente richiesto dal copione ai fini della riproduzione dello stato di ambiguità su cui si regge la storia. Da segnalare comunque la presenza di un’ammaliante Lucy Liu.

Manipolare la mente, hackerare la memoria. Un salto nel Sol Levante ed ecco che ritroviamo l’anticipazione di un altro dei temi portanti di Inception: ideato da Masamune Shirow nel 1989 e portato sul grande schermo da Mamoru Oshii (1995, con un seguito nel 2004), Ghost in the Shell è l’apice giapponese della corrente cyberpunk, un’eccellente commistione di poliziesco e fantascienza cyber i cui protagonisti vivono integrati in un modo profondamente informatizzato e devono continuamente confrontarsi con la misura della loro umanità, il fondamento della propria identità, il limite delle rispettive personalità.Prima che i grandi budget delle major mettessero a disposizione dei registi i mezzi tecnici per rendere adeguatamente le loro idee sulla pellicola, Ghost in the Shell è l’opera che coniuga l’estetica di Blade Runner (1982) con le istanze tematiche di Neuromante (1984), i due capisaldi del cyberpunk e di buona parte della fantascienza contemporanea e di quel vasto bacino dell’immaginario popolare che ad essa ha attinto. Una delle scene più spettacolari di Inception dimostra che il gap è ormai colmato: quando la tessitura urbana di Parigi si ripiega su se stessa nel sogno d’addestramento di Ariadne (memorabile Ellen Page, che ribalta il ruolo mitologico di Arianna aiutando Cobb a costruire i labirinti più efficaci, per intrappolare a
l loro interno la mente della malcapitata vittima di turno), si ha per qualche secondo la sensazione di rubare uno scorcio di Freeside, la stazione orbitale che fa da sfondo a gran parte del romanzo d’esordio di Gibson.

Tornando alla manipolazione del reale, Philip K. Dick è il paragone letterario più illustre, con la sua ossessione ricorrente sul controllo della mente, la simulazione del mondo e le illusioni indotte attraverso droghe o strumenti tecnologici. Ma non è l’unico. Accanto al già menzionato Galouye non dobbiamo dimenticare Roger Zelazny, che con il suo Signore dei Sogni (1966) ci porta a conoscere il mondo dei neuropartecipazionisti o Formatori, psichiatri del prossimo futuro in grado di portare allo scoperto il rimosso dei pazienti agendo sulla loro sfera emotiva, plasmandone i sogni mediante il più immediato dei linguaggi di comunicazione: l’immagine. L’arte della Formazione di Zelazny richiama da vicino le visioni oniriche di Tarsem Singh e del suo The Cell (1999), pellicola su una psichiatra che finisce intrappolata nel sogno di uno psicopatico, come pure di Inception, soprattutto per quanto concerne la cura per la creazione dei paesaggi e delle strutture oniriche.