Proprio mentre sta per tornare sotto i riflettori con l’uscita del nuovo romanzo Zero History, William Gibson interviene su un tema di scottante attualità per il mondo dell’editoria: il futuro del libro. Carta o digitale? Il dibattito si muove sul crinale fra conservatori nostalgici del supporto fisico, convinti che nulla potrà mai restituire sensazioni simili a quella di sfogliare le pagine, e chi è più disposto a sperimentare nuove abitudini di lettura su supporto elettronico. Come sempre sarà il mercato e i lettori stessi a decidere come sarà il futuro. Di certo lo scenario si sta delineando, sopratutto in Italia, in questo periodo, con tutti i maggiori gruppi editoriali a preparare le loro bocche di fuoco online per guadagnarsi una fetta di un mercato che pare decisamente promettente.
E William Gibson, colui a cui è fatto risalire il movimento cyberpunk con la pubblicazione di Neuromancer nel lontano 1984, uno dei maggiori autori sci-fi in vita (anche se nella produzione recente ha sfumato i toni più fantascientifici), che ne pensa? In un’intervista rilasciata al Wall Street Journal non si è collocato fra le schiere di coloro che sono in lutto per la morte della carta (se mai ci sarà): "Non credo che i libri, inteso quelli fisici, cesseranno mai di essere prodotti. Credo però che si debba prendere in considerazione l’impatto ambientale dell’editoria. È un’industria in cui si tagliano gli alberi per produrre carta. Poi servono enormi quantità di elettricità per trasformare la carta in libro, che a sua volta ha un suo peso e deve viaggiare anche su lunghe distanze per raggiungere il punto vendita. Poi bisogna gestire il reso: restituire libri invenduti contribuisce ad accrescere ulteriormente l’impronta ecologica. Da un punto di vista ecologico, è una follia".
Dunque Gibson sembra preferire il supporto cartaceo, sebbene sia disposto a cambiare le sue abitudini pur di dare un taglio più verde alla produzione e al consumo di cultura. Una prospettiva concreta, ma se non dovesse rinunciare a nulla, ecco cosa sceglierebbe di fare: "Mi piacerebbe entrare in un negozio di libri e poter sfogliare tutti i libri che voglio. Una volta scelto cosa acquistare, mi piacerebbe vedere il libro prodotto sul posto nel giro di qualche minuto, con copertina rigida e magari con aggiunte personalizzate, come una bella sovracopertina o carta più pregiata, se lo desidero. Esistono macchine che producono libri e sono parecchio sofisticate. Si eliminerebbero così gli sprechi, mantenendo in vita il libro come lo intendiamo oggi".
Una via curiosa. Quanto plausibile? Nessuno ha la palla di vetro per vederci chiaro su una questione così complessa, che coinvolge e probabilmente finirà per stravolgere i ruoli nell’editoria così come oggi la conosciamo. Un assaggio si è avuto qualche settimana fa con l’uscita dell’americano Andrew Wylie, uno dei più importanti agenti letterari al mondo (rappresenta centinaia di autori, nella lista figurano anche gli italiani Roberto Calasso e Alessandro Baricco), che ha provato a scavalcare Random House stringendo un accordo direttamente con Amazon per la distribuzione dei suoi clienti. La vicenda, poi rientrata, dimostra come i ruoli non siano più così chiari con l'avvento dell'ebook. Quale sarà in particolare, se esisterà, il ruolo delle librerie nella catena che porta dallo scrittore al lettore? Lo scenario di Gibson potrebbe perfino essere ottimista, se si arriva a immaginare che il loro posto potrebbe essere preso dalle grandi piattaforme online, le quali – perché no – potrebbero imbastire un servizio personalizzato di stampa e invio per quei pochi che ancora nel 2100 pretenderanno il libro cartaceo, realizzando economie di scala ed ecologiche ben al di sopra dei limitati mezzi del singolo punto vendita. Ma anche questa è una pura ipotesi.
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