Anche per chi si appresti a ripercorrere le rotte siderali di Luce dell’universo, meglio anticiparlo, Nova Swing è tutt’altro che un viaggio facile. La scrittura di M. John Harrison è quella ammaliante e al contempo straniante che abbiamo ormai imparato a conoscere, ma qui il gioco con la realtà e con i modelli, con la sostanza del racconto e con i suoi personaggi/attori si fa davvero duro, al punto da non offrire concessioni al lettore. In questa scelta dell’autore, che è anche un atto di coraggio, si realizza tutta la coerenza di un romanzo che, se da un lato non può aspirare ad elevarsi alle vette del suo predecessore, è riuscito comunque a riservare ben più di una parentesi di soddisfazione a chi scrive.
Nelle 252 pagine della traduzione di Flora Staglianò (che non deve essere stata un’impresa agevole, considerando anche il lavoro svolto da Vittorio Curtoni con Light), la storia viene letteralmente ridotta in frammenti, come uno specchio colpito da un pugno. E come per uno specchio infranto, le schegge imperlate di sangue rimandano le immagini di una realtà immersa nel caos e condizionata dall’irrazionalità, in un turbinio di punti di vista e di voci che avrebbe fatto la gioia di Robert Altman e che potrebbe sorprendere in una trasposizione cinematografica affidata a un regista come Paul Thomas Anderson. Il modello letterario più vicino che mi viene in mente è forse l’Underworld di Don DeLillo, e può bastare il paragone con simili riferimenti per dare l’idea dell’ambizione riposta da Harrison in questo suo affresco del futuro remoto dell’umanità.
Siamo nel 2.444 d.C. e lo scenario è quello di Saudade, un pianeta-città dell’Alone. L’intera ambientazione del romanzo è urbana e non viene concesso nemmeno un accenno al resto del mondo al di fuori della metropoli sviluppatasi intorno a Straint Street. L’unica eccezione a questo contesto metropolitano da film noir, fatto di locali notturni, spiagge desolate, case abbandonate ed edifici fatiscenti, è rappresentata dal cosiddetto «sito dell’evento». Una o due generazioni prima dei fatti narrati, un pezzo si è staccato dall’enigmatico Fascio Kefahuchi ("una singolarità nuda", come veniva descritto nel precedente romanzo, una vera e propria anomalia spazio-temporale, come viene ricordato nella quarta di copertina) ed è caduto sul pianeta, originando un serbatoio di manufatti alieni e di paradossi quantistici sottoposto al rigido controllo delle autorità, nella fattispecie della cosidetta Criminale del Sito.
L’evento (la caduta sul pianeta, o comunque lo si voglia descrivere) era avvenuto una generazione prima o più, nella vecchia parte industriale della città, nel dedalo di fabbriche, magazzini, porti e canali marittimi che al tempo collegavano Saudade all’oceano. Il commercio era terminato all’istante, ma la caratteristica architettura era rimasta nella zona marginale, circa un chilometro all’interno, un labirinto di edifici vuoti con tetti pericolanti e tubi di scarico rotti, telai di ferro delle finestre sfondati e privi di vetri. Un chilometro o due oltre il bar di Liv Hula, Straint si stringeva a formare un vicolo; le traverse acciottolate diventavano poco più che stradine industriali piene di crateri e solchi, mucchi di cavi in disuso e grosse travi di legno. Tutto odorava di ruggine e antesignani di sostanze chimiche. Le targhe smaltate di blu agli angoli delle strade si erano corrose da tempo fino a diventare illeggibili. Elizabeth Kielar le osservò attentamente ed ebbe un brivido. [pag. 170]
In questo contesto di estremo rischio e degrado, si trovano ad operare i cosiddetti agenti di viaggio o entradisti, stalker memori del modello dei fratelli Strugatsky, non a caso gli autori russi vengono citati nelle epigrafi di apertura, che di per sé sembrano racchiudere la chiave di lettura necessaria per decodificare la serratura quantistica di M. John Harrison. Vic Serotonin è uno di questi agenti di viaggio, che si avventura nel sito per recuperare reperti da smerciare a caro prezzo sul mercato nero, quando non è occupato ad accompagnare turisti a caccia di avventure forti. Lens Aschemann è un investigatore della Criminale del Sito sulle sue tracce, riconoscibile dalla somiglianza con Albert Einstein, e la sua assistente ha un datableed impiantato nell’avambraccio che la tiene costantemente aggiornata su ciò che accade a Saudade. Paulie DeRaad è un ex-contrabbandiere che ha costruito la sua fortuna grazie a un accordo con l’onnipotente AMT (acronimo di Appalti Militari Terrestri, una compagine commerciale-militare che ha guidato la colonizzazione spaziale e l’espansione umana nell’Alone), uno degli uomini più potenti e rispettati di Saudade, ma rimane accidentalmente infettato da un manufatto recuperato da Vic nel sito. Liv Hula è la titolare del bar Black Cat White Cat intorno a cui le loro storie si intrecciano. Antoyne Messner è un ciccione in cerca di considerazioni, che trova grazie a Irene la Mona, una bambolina appena colpita da un lutto d’amore. Edith Bonaventure è la figlia di Emil, forse il più grande entradista di tutti i tempi, l’unico uomo capace di spingersi in profondità nel cuore del sito e uscirne - quasi - illeso. E poi ci sono lottatori potenziati, bambine killer, ragazze-risciò, operatori ombra e gatti: tanti gatti, bianchi o neri, che inondano la città dal sito a torme come una maledizione di Ulthar, emergendo dall’anomalia insieme ai fantasmi di un’altra epoca. Come Elizabeth Kielar, che un giorno si rivolge a Vic per ritrovare il proprio passato, la propria storia. Nel sito.
Le immagini con cui Harrison bombarda il lettore sono memorabili e persistono dietro gli occhi con la tenacia di un flash al magnesio. Le sue frasi sono lampi illuminanti che per una frazione di secondo sembrano rischiarare un mondo meraviglioso e inquietante al contempo, ma come lampi si estinguono in un batter d’occhio lasciando solo il ricordo di una sensazione, un’impressione che si degrada progressivamente rivelando la propria fallacia alla luce del lampo successivo. Ma un sentimento elegiaco pervade il suo racconto e un senso di nostalgia si estende per tutto il suo sviluppo come un rumore di fondo, il refrain di una vecchia musica terrestre, una presenza costante che è una sfumatura persistente nello sguardo del lettore. Ci ritroviamo a seguire così le gesta sconclusionate dei protagonisti e le loro conversazioni senza capo né coda, ad abituarci ad esse ed affezionarci ai loro vezzi, comprendendo come il comportamento umano possa essere manipolato alla stessa maniera di un codice informatico, e come un software sia esso stesso esposto alle insidie aliene del contagio e dell’infezione. Quando alla fine l’essenza del sito si rivelerà essere nient’altro che un catalizzatore delle routine comportamentali più antiche, codificate nell’istinto dell’uomo, saremo colti da un misto di delusione per le miriadi di segreti disperse nelle sue profondità surreali e mai abbastanza esibite al lettore, ma proprio come davanti a un gioco di prestigio ben riuscito sapremo riconoscere l’efficacia della rappresentazione e perderci nella sorpresa della sua riuscita.
M. John Harrison è un mago della parola e dell’immagine e come un illusionista non offre risposte, non indugia in spiegazioni e anzi, con la dovuta eccezione del passaggio sopra riportato (indicativo anche della cifra stilistica del romanzo, con il suo carico di incertezza e di dubbio che traspone l’essenza del paradosso di Schrödinger), taglia del tutto ogni occasione di infodump per estirpare da Nova Swing qualsiasi rischio nozionistico sul background di Saudade, sulla storia dell’Alone e sulla natura del sito. Ogni elemento viene colto attraverso una particolare esperienza di ciascuno dei personaggi e alla fine si dimostra altrettanto tenue di un’annotazione scarabocchiata di fretta nella concitazione del momento sulla pagina ormai ingiallita di un vecchio diario.
Meno dinamico ed esplicativo di Picnic sul ciglio della strada, Nova Swing vive nel gioco dei rimandi e delle sensazioni ed esalta le qualità stilistiche del suo autore nella definizione di un’atmosfera struggente. Ma come ricorda lo slogan di un’impresa commerciale che presta anche il titolo al libro ("Mira al futuro"), la nostalgia di Harrison non è diretta verso qualcosa di già smarrito, ma verso qualcosa che potremmo perdere, nel corso della nostra ascesa alle stelle. Ogni impresa, dopotutto, resta esposta al rischio della sconfitta. E tanto maggiore è la sua portata, tanto maggiore risulta il sacrificio richiesto. L’efficacia del mondo di Harrison nasce anche dall’aver dato voce ai reietti del futuro, ricordandoci che sull’orizzonte del domani non si affollano solo mirabili prodigi e benefiche conquiste.
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