Questo racconto è per Sandra, Pigi e Gianni
Osservando minuziosamente il paesaggio: un ponte in costruzione alle sue spalle. Pilastri d’acciaio brunito sorreggono la enorme mole di cemento interrotta bruscamente a circa due terzi della estensione totale. Un cartello verde, decorato con figurine anatomicamente perfette d’angeli, pende, scolorito dal vento, dalla sommità del terzo pilone partendo da destra.
Una lente d’ingrandimento si divertirebbe a scoprire le facce libidinose degli angeli. Uno di essi è Cassius Clay, e stringe tra le mani nere e paffute un lecca-lecca totalmente rosso. Di fronte a questo s’arrampica su una liana grigio cenere, composta per lo più di sterchi di vacca, l’angelo Jagger, ruotando veloce con la mano libera la testa del fratello giallo a lui vicino.
Ma in alto, alla sommità del cartello, l’angelo reggicartiglio ha il viso irriconoscibile, slavato dalla pioggia. Soltanto i suoi occhi hanno resistito alla violenza del tempo, e cercano inquietamente il resto del corpo. Le mani ancora enormi si protendono in un gesto protettivo verso il cartiglio, in cui campeggiano lettere a caratteri gotici in colore bruno, e dicono: In costruzione. Pericolo.
Descrizione rigorosa dell’uomo.
Egli è steso sulla sabbia a pancia in giù. Indossa soltanto un paio di pantaloni gialli a scacchi blu, con risvolto. La schiena è invece completamente nuda, esposta ai raggi del sole che campeggia col suo morbido disco nel cielo vuoto di nubi.
Il suo viso affonda nella sabbia, bocca ed occhi ancora chiusi. I capelli sono neri, ma sembra talora che un riflesso argenteo li faccia brillare, come se avesse dei lustrini. Le mani stanno pacificamente appoggiate sullo strato fragile della sabbia, con le palme aperte. Brevi tracce di sporco gli rigano le unghie, a scatti.
Il suo viso ancora non può vedere, perché giace sempre nella sabbia, e tuttavia di fronte a lui, affondata anch’essa in quello sterminato mare d’oro, è una ruota di bicicletta. I suoi raggi sono arrugginiti, e lo stesso il cerchione, le viti, i bulloni. Soltanto il pneumatico sembra preservato dall’azione della ruggine, anche se appare chiaramente sgonfio, quasi privo di vita.
Lentamente egli si pone le domande.
Ricordando anzitutto il lago. Lo specchio d’acqua irradiava pigramente la propria verde essenza tutt’intorno. C’era una calma così totale, in quel lontano tempo in riva al lago, da sentirsene inebriati. Certamente per colpa della brezza leggera che cantava monotone melodie sul viso, o forse per quel silenzio impenetrabile, che neppure le parole potevano spezzare.
- E così, - diceva la donna più giovane, - dopo tutto sei finita qui.
Ma in fondo l’altra restava indifferente nell’abbraccio dell’acqua, senza preoccuparsi di nascondere il corpo, che nudo galleggiava sulle onde. Senza libidine.
In un primo momento, dopo aver visto la spiaggia, il mare, il ponte, egli si rifiutò di credere all’esistenza di quel momento. Chiuse semplicemente gli occhi più forte di prima, e continuò a ripetersi che tutto quello non poteva realmente esistere. Così quando li riaprì credette di essere in un posto diverso, ma dovette ancora percepire il rumore lontano della risacca d’oro della sabbia, e quel frammento rugginoso di realtà affondato come lui in un determinato continuum. L’afferrò la concretezza esistenziale.
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