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Mi risveglio da qualche parte nel futuro… il futuro di un passato divorato dal tempo in un distratto batter di ciglia. Il pianeta è un deserto di rocce e di sabbia riarse dal globo fiammante lassù nel cielo: un demonio di plasma che incombe esalando folate di vento radioattivo, fedele riflesso della crudele impassibilità celeste.
Il letargo protratto negli eoni – lo stato di animazione sospesa in cui mi hanno mantenuto con la loro dannata tecnologia, o qualunque cosa fosse – ha fatto tabula rasa nella mia mente. Nemmeno un ricordo strutturato pare sopravvissuto alla mia vita precedente, né la consapevolezza del tempo trascorso. Solo confusi bagliori di memorie residue fluttuano nello spazio informe che mi rimesta dentro, insieme a segmenti di codice inserito dall’esterno che mi parlano in maniera stringata ma sicura, penetrante, efficace, di quello che è successo e di qual è il mio compito. La voce del codice riecheggia sulla lunghezza d’onda del canto melodioso delle pulsar: dispacci militari dal comando della Resistenza… È tutto ciò che mi serve.
> premier direx: delete powindah!
La direttiva primaria non mi lascia scampo. Mi scrollo di dosso le ultime tracce del torpore criogenico e muovo le membra meccaniche verso l’uscita della Caverna. Il movimento dischiude alla mia mente la consapevolezza delle superiori doti del mio nuovo corpo: l’acciaio canta fragorosamente dentro di me, preannunciandomi l’estasi dell’azione.I miei passi metallici riecheggiano sul gelido marmo del pavimento, lungo corridoi rimasti in silenziosa attesa nel corso dei secoli. È tutto così asettico. La strumentazione elettronica – migliaia di chilometri di circuiti tracciati nel carbonio tubolare – persevera nella sua efficiente opera di controllo retroattivo.La lancia mi attende insieme alle altre. Il groviglio rugginoso delle sue viscere risistemate per l’occasione fa bella mostra di sé in un fianco del mostro di lega chitinosa: tradisce un certo narcisismo compiaciuto della propria incompletezza, questa perversa disinvoltura nell’esibire i tubi gommati dell’apparato lubrificante, le condutture che incanalano il vapore, i capillari che convogliano l’azoto liquido al propulsore centrale e le superfici dissipatrici dei radiatori.Salgo in sella ed entro in sincronia. Abbasso la leva del propulsore, e un fremito di eccitazione si espande nel mio corpo non appena sento l’alito caldo dell’uranio sprigionarsi tra le gambe dal reattore centrale del mio destriero da combattimento!
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Il vento mi sfiora la faccia. È una carezza delicata che il cielo concede alla mia pelle rugosa e bruciata. Un sogno riemerge alla superficie dagli abissi di acciaio della coscienza. Penso a lei: il suo sorriso distratto, i suoi occhi ambigui, le sue gambe accoglienti. Rivedo i suoi capelli cullati dalla brezza marina della sera, la sua pelle liscia e ambrata, e sento ancora una volta il profumo che emana, mentre saggio la morbidezza delle sue carni. Agile e flessuosa come un uccello acquatico, sfuggente come la più bella e discreta delle creature oceaniche che si aggirano tra i banchi frattali di sgargianti coralli. Sapore di mele, adrenalina, sensazioni sfumate dal tempo, epidermidi sudate che si incontrano scatenando la sequenza di reazioni tipiche della chimica dell’amore.
Cielo stellato che esplode in una miriade di frammenti di argento purissimo e incandescente.
Dolore umido e rovente che mi trafigge le carni.
Come tutte le cose, il sogno va incontro alla fine.
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