Per un attimo ebbe la netta sensazione che il suo cuore stesse perdendo colpi. Era veramente una grande emozione quella che stava vivendo.
Ne aveva sentito parlare, ovvio. Voci, racconti incompleti, nella maggior parte dei casi soltanto fantasie e così, proprio perché le aveva sempre ritenute tali, non si era certo azzardato a credere che tutto ciò potesse corrispondere alla pura e semplice verità. Di fronte alle relazioni concitate degli amici aveva cercato in ogni modo, e il più cortesemente possibile, di nascondere i suoi ragionevoli dubbi, anche se un naturale scetticismo era sempre comunque emerso.
Avrebbe dovuto sentirsi uno sciocco ora? In realtà non sapeva proprio cosa pensare. Di una cosa però era indiscutibilmente felice, e cioè che la sua diffidenza si fosse spinta fino al punto di costringerlo a una verifica. Venire lì di persona, ne era certo, era la cosa più intelligente che avesse fatto negli ultimi venti anni e, nonostante ci stesse provando con tutte le sue forze, non poté fare a meno di coltivare qualche piccolo rimorso.
Ora si trovava nel punto più alto del Parco del Chienti e il panorama che si offriva alla sua vista era semplicemente mozzafiato.
Sì, pensò Alex, è l'unico termine che riesca a rendere l'idea.
S'incamminò piano, discendendo il pendìo e allo stesso tempo assorbendo avidamente ogni piccolo particolare. Il verde che lo circondava non aveva niente a che vedere con lo smunto fogliame presente nelle città; talmente sbiadito e rado da sembrare finto. Quel verde esplosivo invece, che si estendeva in ogni direzione, generava una sorta di naturale incredulità in chi vi si trovava immerso. Con ogni probabilità era solo colpa della disabitudine che attanagliava un po’ tutti coloro che, più o meno in modo forzato, dovevano misurarsi ogni giorno con la disarmante brutalità urbana.
Represse a stento il desiderio di mettersi a correre lungo i prati. Erano molti i turisti ammessi, e anche se l'estensione del Parco era rassicurante per quanto riguardava la possibilità di incrociarne qualcuno, non voleva certo passare per uno stupido emotivo. Si accontentò di un passo rapido, respirando a pieni polmoni.
Arrivò ai margini di un boschetto e una gran varietà di piante lo accolse. Era trascorsa quasi un'ora dal momento in cui era entrato nel Parco e, malgrado avesse sempre camminato in modo sostenuto, non si sentiva affatto stanco. Ammirare tutte quelle bellezze inconsuete gli impediva di avvertire disagi fisici. Andava bene così, ogni istante era prezioso e lui voleva gustare l'interezza della realtà che lo circondava.
La vegetazione boschiva concluse l'abbraccio richiudendosi alle sue spalle.
Era attorniato da alberi di cui non sapeva il nome e che non aveva mai visto in tutta la sua vita, eppure la consapevolezza di conoscere già quello spettacolo era talmente radicata in lui da risultare inspiegabile. Da qualche parte nella sua mente sapeva di non essere un elemento estraneo in quella rigogliosa rappresentazione; ne faceva parte, e la cosa gli piaceva.
Le piantine che costituivano un esuberante sottobosco, accarezzavano amichevoli ogni suo passo, come tanti cuccioli impegnati in un naturale saluto. Fino ad ora non aveva notato i tanti rumori che animavano il boschetto: cinguettii, fruscii, le fronde che stormivano e mille altri ancora. Ebbe l'impressione di ascoltare una sinfonia perfetta, come mai se ne sarebbero potute creare. Era un sussurrare cospiratore, un sospirare benevolo che infondeva quiete a tutto ciò che potesse udirlo. Si lasciò impregnare da quella sensazione così piacevole, così unica. Un piccolo uccello gli planò davanti e andò a posarsi su un arbusto caduto in terra. Due occhietti vispi lo fissarono senza paura né curiosità. Gli animali del Parco erano abituati ai turisti, la loro presenza non li intimoriva affatto. Alex si sentì osservato, quasi sotto esame. Dopo alcuni istanti l'uccello si alzò e scomparve tra gli alberi.
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