Philip K. Dick dopo la morte avvenuta nel 1982 è oggetto di continue rivalutazioni culturali: molti critici e semplici appassionati si stanno impegnando nel tentare di scrivere la sua biografia, una impresa per niente facile. Philip non era una personalità tanto facile da capire in vita, figurarsi riuscire a "scrivere sulla sua vita" dopo la sua morte, quando si hanno a disposizione mille indizi per mille verità tutte uguali e nel contempo diverse. Inutile cercare di inquadrare Philip: produrre la sua biografia oggi significherebbe solo dar vita ad un "simulacro fantasma" di quello che fu l'artista.

Si è detto tante volte che Philip ha assunto (specialmente) nel suo periodo giovanile cocktail di droghe e che ormai negli anni Settanta il suo cervello aveva subito danni irreversibili; e chi sostiene questa tesi riesce a vedere nelle sue ultime opere solo dei prolungati lamenti allucinati. Per contro, molti scorgono nell'ultima produzione dickiana la vera essenza dell'uomo e dell'artista. Insomma, i pareri sono discordi: la rivalutazione del lavoro dickiano oggi è assai difficile; su quali basi ci si dovrebbe basare per definire la sua produzione? Ed esistono delle basi? Ad esempio, Philip era dell'opinione che un lavoro come Le tre stimmate di Palmer Eldritch non era degno della sua migliore produzione, e contro Palmer Eldritch, soprattutto nella seconda metà degli anni Settanta, cominciò ad avvertire una sorta di odio: infatti diceva del romanzo che era stato scritto quando era sotto l'effetto di allucinogeni e parlava troppo di Dio, riteneva che fosse un libro addirittura pericoloso per sé e per chi lo leggeva. Degli oltre cinquanta romanzi, innumerevoli racconti, Philip salvava di tutto ciò poco più di cinque romanzi, quelli che riteneva essere i più veri... ma non credo sia opportuno dire in questa sede i titoli che P. K. Dick avrebbe salvato. Per chi vuole saperne di più non ha altro da far che leggere quello che può essere considerato il suo testamento biografico; nel 1997 uscì per i tipi della Feltrinelli Mutazioni. Scritti inediti, filosofici, autobiografici e letterari , un volume che comprendeva parecchi articoli, invettive, considerazioni su se stesso e il mondo della SF; successivamente sempre per conto della Feltrinelli il volume è stato riedito in edizione economica in tre volumi, ovvero Se vi pare che questo mondo sia brutto (1999), Joe Protagoras è vivo (2000) e ultimamente Vita breve e felice di uno scrittore di fantascienza (2001).

Nella postfazione di Vita breve e felice di uno scrittore di fantascienza, Lawrence Sutin indica nella figura di P. K. Dick "un visionario creatore di SF... ma anche un illuminante e originale pensatore": questo terzo volume è forse la raccolta di scritti dickiani più intima (alcuni inediti sino ad oggi in Italia); Philip si racconta, parla delle sue paure, si contraddice, esprime alcune importanti considerazioni sul mondo della SF, per concludere alla fine, quasi con serena tristezza, che nonostante tutto è stato felice di essere stato uno scrittore di fantascienza. Non nega la povertà che ha dovuto superare (e sopportare), perché uno scrittore di SF era (ed è purtroppo ancor oggi vero) sottopagato rispetto ad uno scrittore classico, guardato con sospetto e additato come pazzo: Dick era un pessimista anche se gli era praticamente impossibile ammetterlo. In questi suoi scritti pesante è la sua accusa contro il dilagante pessimismo, eppure è lui il primo a vestire i panni del filosofo pessimista, tuttavia non se ne rende conto (o forse rifiuta di accettare se stesso come un pessimista nato!). Ma non mancano appunti sereni, ad esempio quando parla dei suoi autori preferiti e dei suoi maestri, delle sue amicizie: in questa raccolta di scritti, Philip spiega anche il ruolo importantissimo che la musica ha avuto nella sua vita, traccia alcuni ritratti di se stesso (ad esempio si descrive come un vecchio freak perennemente innamorato delle donne) e non nega il rapporto difficile con il sesso femminile.

E poi spiega che gli scrittori di fantascienza sono tutti amici fra di loro, anche se vedono il mondo in modo diverso; inoltre spiega che chi scrive SF non è solo un autore che conosce il solo panorama della SF. Per Philip K. Dick lo scrittore di fantascienza è una persona che ha letto i classici (come lui stesso ha fatto) partendo da Platone per arrivare a Pascal ma anche ad Hemingway e Faulkner, scegliendo di scrivere SF perché in un certo senso essa è rivoluzionaria, capace di guardare al passato, al presente, al futuro interrogandosi "e se questa cosa si fosse sviluppata in modo diverso?". Sembra quasi che per P. K. Dick il mondo sia costituito di "realtà possibili", presupposto essenziale per scrivere un buon romanzo di fantascienza.

Vita breve e felice di uno scrittore di fantascienza non è una semplice raccolta di appunti, è invece la scoperta dell'anima di un artista: per quanti sino ad oggi hanno considerato P. K. Dick semplicemente un autore di culto, un profeta, troveranno in questi suoi scritti il lato più umano dell'artista, quello che amava i gatti e gli animali, quello che ha lottato contro la sua malattia fisica e religiosa (... Philip soffriva di ipertensione... ha subito difatti un primo infarto negli anni Settanta... ma non mancava di interrogarsi su Dio e sulle sue azioni che in alcuni momenti di profonda depressione accusava di essere ingiusto con i giusti!). Questa raccolta è importante perché ci restituisce l'artista con tutta la sua fragilità e i suoi dubbi: insieme a Se vi pare che questo mondo sia brutto e Joe Protagoras è vivo, Vita breve e felice di uno scrittore di fantascienza è un documento essenziale per comprendere appieno i migliori scritti di P. K. Dick, un documento che si legge tutto d'un fiato e che non manca di emozionare per la sua sincerità e confusa chiarezza.