Dopo sette anni SyFy si cimenta nuovamente con la trasposizione televisiva di Riverworld di Philip José Farmer, uno dei più apprezzati e conosciuti cicli letterari fantascientifici. In molti ricordano che i risultati della prima trasposizione televisiva del 2003 furono molto deludenti, ma il lupo perde il pelo ma non il vizio, e SyFy riesce a produrre una nuova miniserie che ripete fedelmente gli errori commessi nel passato, e anche di più. Ma andiamo con ordine.
Il ciclo di Riverworld consta di cinque romanzi principali e svariati racconti, e narra di uno strano mondo dove tutte le genti di tutte le epoche si risvegliano dopo la morte sparse lungo le rive di un enorme fiume che attraversa tutto il pianeta. Tra personaggi storici e le culture più disparate, seguiamo le vicende di un gruppo di persone destinate a togliere il velo al segreto che avvolge la loro presenza in quel mondo.
Al timone dell’operazione troviamo quel Robert Hewitt Wolfe, esperto produttore e scrittore di serie fantascientifiche che vanno da Star Trek Deep Space Nine, ad Andromeda, 4400, Dresden Files e Dead Zone, affiancato da Hans Beimler, anch’egli conosciuto per le trekkiane Next Generation e Deep Space Nine.
Il cast è composto da volti conosciuti ai fan della fantascienza televisiva, troviamo infatti un po’ di Battlestar Galactica con la presenza di Helo (Tahmoh Penikett) nel ruolo del protagonista Matt e il tenente Felix Gaeta (Alessandro Juliani) nel ruolo di Daniel. La Lisa di V (Laura Vandervoort) è Jessie, l’ambigua compagna di Matt, mentre il ruolo del cattivissimo (!) Richard Burton è affidato all’inglese Peter Winfield (Andromeda, Dead Zone, SG1, Smallville, Sanctuary).
Il problema principale di questa trasposizione televisiva è lo stesso che avevamo avuto modo di vedere in quella del 2003, ovvero il voler condensare in poco più di due ore e mezzo gli elementi presenti in molti libri di Farmer, aggiungendoci oltretutto sezioni di trame autonome e una quantità impressionante di personaggi introdotti per forza di cose in maniera grossolana, superficiale e approssimativa. La smania di inserire così tanti personaggi impedisce infatti non solo una introduzione dignitosa, ma anche una caratterizzazione e uno sviluppo convincenti. Così gli attori si muovono come tante pedine in una scacchiera senza che le loro azioni siano approfondite o motivate. Il risultato è quello di assistere a una sequenza di azioni che spesso rasentano il risibile. Un esempio su tutti (ma ce ne sarebbero davvero molti) è l’atteggiamento dell’eroe principale, Matt (=Ken), che tratteggiato con la mannaia si aggira per il mondo come un vero ebete in grado, nei momenti topici, di saper solo balbettare disperatamente il nome della sua amata, Jessie (=Barbie). Non si pone alcuna domanda esistenziale, non si pone alcuna riflessione. Anche di fronte a un alieno che potenzialmente potrebbe dargli tutte le risposte, l’unica cosa che riesce a chiedere, ripetutamente, è: “Dov’è Jessie?”
La trama poi fa acqua da tutte le parti: questo Riverworld è una vera sintesi di tutti i buchi e i salti narrativi a cui si può assistere all’interno di un qualunque pessimo telefilm. Si rasenta addirittura la mancanza di rispetto nei confronti dell’intelligenza dello spettatore, quando dopo due ore e mezzo di “Bignami” del povero Farmer, ci si ritrova di fronte a un finale senza senso che lascia sbigottiti per la sua superficialità.
La mia domanda è: come è possibile che un canale televisivo non faccia tesoro degli errori commessi in passato? Quale spirito sadomasochistico aleggia nei quartieri alti di SyFy per fare il remake di un originale così sgangherato in maniera così precisa?
Probabilmente odiano Farmer.
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