E accanto a tutti questi autori, non bisogna dimenticare i professionisti Valerio Evangelisti, Nicoletta Vallorani, Luca Masali, tutti usciti con nuovi titoli o riedizioni, come pure i decani Vittorio Catani, Renato Pestriniero e Pierfrancesco Prosperi, che proseguono la strada che per tutti noi è stata tracciata dal compianto Lino Aldani.È insomma un periodo di fervore creativo, che si riflette nella molteplicità delle posizioni dei diversi autori. Dal sempre florido filone dell’ucronia e dei viaggi nel tempo alla fantascienza tecnologica, passando per la satira, l’approccio sociologico, il cyberpunk e le sue commistioni con la letteratura nera, possiamo forse dire che oggi, per la prima volta, ogni appassionato italiano può trovare il pane giusto per i propri denti.Tutto bene, allora? Neanche per sogno. Purtroppo l’ambiente della fantascienza italiana mi sembra aver raggiunto, proprio negli ultimi tempi, un tasso di litigiosità prossimo alla saturazione, che rende ben poco onore alle vette che ha saputo toccare nel corso della sua storia e che sicuramente è tanto più deprecabile considerata la moltiplicazione degli spazi e delle iniziative che non a caso hanno richiamato l’attenzione di media di consueto molto diffidenti nei nostri confronti (emblematico è il caso del ciclo di puntate dedicate da Tempi Dispari agli scrittori italiani di fantascienza su Rainews 24, per tutto il 2009). Quello che ci difetta, quindi, è forse davvero un pizzico di scaltrezza in più, se non una vera e propria mentalità professionale, indispensabile non solo per elevare le proprie ambizioni a traguardi meno effimeri, ma anche e soprattutto per contribuire al mantenimento di un clima sereno e proficuo perché tutta la pluralità di cui sopra possa conservarsi e proliferare. Un approccio, questo, che era ben rappresentato dal grandissimo Ernesto Vegetti, purtroppo venuto a mancare all’inizio di questo 2010. Anche per lui e per la sua memoria tutti noi, scrittori e appassionati italiani di fantascienza, dovremmo imparare a rivedere il nostro atteggiamento, mantenendone in vita l’esempio. Dario TonaniVoglio premettere che ho apprezzato molto la forma con cui è stata posta la domanda: “fantascienza scritta da italiani” e non “fantascienza italiana” o magari “all’italiana”. Questo mi permette di andare subito al nocciolo di una considerazione che mi sta molto a cuore, alla base anche dei recenti flame accesisi un po’ ovunque in Rete. È innegabile che parlare oggi di SF innalzando confini e sventolando bandiere dai campanili è quantomeno anacronistico. Un conto è la sensibilità individuale di ogni singolo autore, che è assolutamente doveroso coltivare e valorizzare, un altro è - fatte le debite proporzioni di notorietà - parlare della fantascienza italiana come della pizza o del parmigiano reggiano, icone del made in Italy con un capitolato inciso nella pietra: o scrivi così o sei un tarocco. Oggi scrivere (qualsiasi genere) è pressoché impossibile senza intingere il pennino - consciamente o inconsciamente - nel cinema o nella tv o piluccare da forme espressive di ultima generazione, come i videoclip musicali, la digital art, la pubblicità, i cartoon, i fumetti. Ignorare questi stimoli non significa meritare d’emblée il titolo di “scrittore originale o fuori dagli schemi”, né tantomeno affermare la propria italianità, vuol dire precludersi strade nuove, non essere permeabile ai cambiamenti e in definitiva non recepire le potenzialità enormi che ci arrivano dalle nuove modalità di raccontare: esattamente quello che uno scrittore, a maggior ragione se di fantascienza, non deve mai fare, che sia italiano, svizzero o giapponese. Credo che gli autori italiani di oggi, compresso qualcuno della vecchia guardia, siano assolutamente consapevoli dell’importanza di cogliere queste nuove opportunità e sappiano farlo con la doverosa oculatezza, senza preconcetti, sapendo discernere tra mero format commerciale e nuove modalità di approccio a una storia. Mi chiedi che cosa è necessario fare per promuovere la fantascienza italiana presso il grande pubblico? Mozzare una volta per tutte la coda di certi pregiudizi che ci portiamo avanti da decenni: buon ultimo, quello di non saper raccontare una storia godibile senza rifarci a modelli d’Oltreoceano onde poi dire che no, gli italiani lo fanno comunque peggio a prescindere...
A onor del vero devo riconoscere che il vento è un po’ cambiato da qualche tempo a questa parte, seppure non come è successo per generi attigui, il giallo, il noir e la fantasy: Urania ha decisamente aperto agli italiani (e commercialmente parlando da Segrate ci confortano sul fatto che con gli stranieri ce la giochiamo alla pari), piccole e medie case editrici, alcune delle quali nate di recente, propongono sempre più spesso romanzi fantastici nazionali, le collane per ragazzi assorbono con regolarità prodotti autoctoni. I lettori, anche quelli più critici, danno ormai per assodata l’esistenza di una via italiana alla fantascienza: qualche volta ne parlano persino in chiave entusiastica, qualche altra entrano a gamba tesa su opere e autori, senza però riconoscersi più nell’antico motto di “A Lucca mai!”. Disquisiscono di contaminazioni e genere puro, di SF solare e SF dark, qualcuno rimpiange i nostri maestri dei tempi andati, ma senza remore tutti arrivano a reclamarne di nuovi. È un buon segnale.
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