Ma non tutti i Visitatori sono malvagi. John May, figura ammantata di mistero e ritenuta persino leggendaria, fondò la cosiddetta “quinta colonna”: un gruppo di alieni che, in sostanza, contrastano i piani della loro stessa specie. Come Ryan Nichols (Morris Chestnut, il Ricky Baker di Boyz N the Hood), ex-infiltrato che aderì alla cosiddetta “quinta colonna”, ora deciso a tornare in azione; nessuno è a conoscenza della sua vera natura, nemmeno la donna che sta per sposare, l’analista Valerie Stevens (Lourdes Benedicto, vista in Dawson’s Creek e 24). Come in ogni serie che si rispetti, non mancano i personaggi destinati a catturare l’attenzione dei teenager, esprimere la crisi adolescenziale ed enfatizzare la difficoltà dei loro rapporti familiari. In V, il figlio di Erica Evans (che diventerà ben presto un’eroina della resistenza e rappresenta un po’ il “perno” della trama), si arruola negli ambasciatori di pace e diventa un inconsapevole collaborazionista; Tyler (il giovane Logan Huffman) inoltre, è innamorato di Lisa (Laura Vandervoort, celebre Supergirl in Smallville), che scopriamo essere nientedimeno che la figlia dell’Alto Comandante Anna.Per restare nei temi politicamente corretti, è bene sottolineare che la serie sfiora (e certamente lo farà in modo più incisivo in seguito) anche il problema della dipendenza: Anna controlla i suoi sottoposti mediante una non meglio identificata droga, in inglese definita bliss, ossia beatitudine; non è ancora chiaro se si tratta di una sostanza o di una forma di controllo mentale o chissà cos’altro. Questa “beatitudine” potrebbe essere anche collegata alle pratiche rituali della religione dei V, di cui, per ora, non c’è che qualche spunto, peraltro interessante. Ma sono speculazioni: resta il fatto che l’inserimento di Padre Landry rappresenta l’invito alla riflessione sulla difficoltà nel mantenere intatta la propria fede (in questo caso, l’incompatibilità degli extra-terrestri con le scritture, i loro prodigi materiali, che inducono a dubitare dei miracoli divini) e non di meno su quanto un momento di crisi (spirituale, ma anche mondiale, come quella che l’America e il mondo stanno vivendo), spinga le persone ad affidarsi, improvvisamente e tardivamente, al trascendente (la piccola comunità del sacerdote, dopo l’arrivo dei Visitors, si trasforma di colpo in un gregge numerosissimo). Certo, i debiti con la serie originale sono tanti, ma il vero elemento di novità che premia la prime puntate è lo sforzo (centrato, si direbbe) di attualizzare il plot: grazie all’ “effetto 9/11” iniziale, si è voluto creare una continuità con gli eventi più significativi degli ultimi anni, per mescolare con le tante ansie complottiste prima di calare il tutto nell’attuale contesto di crisi internazionale. In prima battuta la scelta di sintetizzare i più cospicui elementi della serie originale, fin dal primo episodio, può sembrare coraggiosa; in realtà è una decisione a dir poco forzata: i tempi televisivi sono cambiati, l’hype e il chiacchiericcio di blogger e internettari avrebbero trasformato V in un noiosissimo ammasso di deja-vù per pochi puristi nostalgici, inframmezzato da sequenze assolutamente “telefonate” con settimane d’anticipo.Piccola chicca: ogni serie ha la sua dose di polemica e V, su questo fronte, non è da meno. Il primo colpo all’arma bianca è di Glenn Garvin del Chicago Tribune, che paragona l’ascesa di Anna, così telegenica e abile, a quella di Barack Obama. “Abbracciare il cambiamento non è mai facile”, dirà Anna. E Garvin, che nella serie coglie non poche allegorie con l’amministrazione americana, si rivolge ai suoi lettori: “allora, non vi ricorda nessuno? Oh, aspettate, vi ho già detto che questo leader è in realtà un lucertoloide totalitarista venuto dallo spazio per mangiarci tutti? Benvenuti su V della ABC”. A voi l’arduo compito di immaginare una polemica corrispondente in chiave italica. Rettifico: non è poi così arduo.
Pace per tutti! Forse...
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