Nell’universo concepito da Urasawa sono presenti i tratti delle opere classiche che hanno già affrontato il tema: da un lato ritroviamo Isaac Asimov, poiché i robot sono stati creati come esseri intelligenti che devono obbedire a specifiche regole impostate dagli uomini, dall’altro, (sulla falsa riga di Blade Runner di Philip K. Dick) i robot hanno raggiunto un livello di consapevolezza tale da spingerli a cercare la possibilità di vivere una vita “comune”, come quella dei loro creatori. Non a caso, incaricato delle indagini è l’ispettore robot tedesco Gesicht in forza all’Europol; vive a Dusseldorf (come il protagonista di Monster), ed è consapevole di rientrare egli stesso nell’elenco delle possibili vittime.Due le linee guida dell’opera: l’introspezione dei personaggi (manca un vero e proprio protagonista principale) e l’evoluzione della trama, ricca di colpi di scena e flashback. Mettere in luce il carattere dei personaggi è una peculiarità di Urasawa, che sente il dovere di rivelare le varie personalità in tutti i loro tratti: qualsiasi ruolo calchi le pagine delle sue opere, sia principale che secondario, positivo e negativo, diventa familiare al lettore. Ed è proprio grazie a questa presentazione “corale” dei personaggi, dotati di pari dignità, che Urasawa riesce ad inserire una tecnica che certamente padroneggia: il ribaltamento dei ruoli. L’abile introspezione serve a farci apprezzare anche il cattivo di turno, dal momento che il lettore finirà per comprendere le motivazioni che guidano le sue azioni. Per quanto concerne la trama, invece, evolve in maniera lineare, intervallata da flashback sapientemente disposti (tecnica con cui si è fatto le ossa su Twenty Century Boys).
Non manca la dimensione onirica, peculiare in Pluto poiché nello specifico i robot non sognano, bensì ricordano. Sarà proprio il ricordo uno temi portanti della vicenda: Urasawa coglie l’occasione per analizzare un sanguinoso conflitto in medio oriente avvenuto qualche anno prima, una sorta di filo rosso che lega tutti i personaggi. La guerra sullo sfondo di Pluto richiama palesemente il conflitto in Iraq (proprio nei giorni in cui l’opera veniva scritta era nelle sue fasi iniziali). Urasawa marca questi collegamenti, sottolineando come l’originale intento (riportare pace e democrazia), non ha fatto altre che innescare una spirale di odio senza via d’uscita (elemento più che mai attuale).
1#Vero quanto detto, dobbiamo però ricordare che Urasawa non fornisce alcuna collocazione cronologica all’opera. Non abbiamo date cui appigliarci, perché l’autore, diversamente da Tezuka, non appartiene al secondo dopoguerra e non avverte la necessità di proiettare la trama nel futuro, per cancellare, in questo modo, le ombre del recente passato. Il futuro di Urasawa è un riflesso del nostro presente. 1#1#Non mancano, nel corso dell’opera, comparse e citazioni da altre opere di Tezuka in chiaro segno di ammirazione, così come evidenti rimandi cinematografici. Celebre l’omaggio al Silenzio degli innocenti, quando Gesicht andrà a interrogare l’unico robot accusato di avere ucciso degli esseri umani, sfuggendo all’equivalente delle leggi della robotica concepite da Asimov.
In Pluto, come abbiamo detto, è impossibile delineare un protagonista principale (per quanto, Gesicht giganteggi nel primo volume). Ma che ne è di Atom/Astroboy, il fulcro dell’ambientazione originale? Ecco venir i fuori il coraggio di Urasawa che con disinvoltura e maturità si confronta con Tezuka: apparirà solo nell’ultima vignetta del primo volume. È un normalissimo bambino di 7 anni (e non come il robottino dall’innaturale ciuffo che molti conservano nel proprio immaginario). Sarà nel secondo volume che Atom avrà modo di commuovere il lettore per la straordinaria umanità di cui è dotato. Urasawa sottolinea la sua duplice natura: è uno dei robot più sofisticati del pianeta, ma è soprattutto un bambino, preso dalla scuola e legato alla sua famiglia robotica.
Siamo di fronte ad un’opera fantascientifica, ma permeata da un realismo assoluto. Si distingue in questo dal Maestro Tezuka, ancora legato a soluzioni grafiche caricaturali o eccessive. Ad un giornalista che gli chiese come mai non adoperava la tipica goccia di sudore stilizzata (un cliché dei manga), Urasawa rispose: “semplicemente perché la gente non suda davvero in quella maniera”.
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