L’affacciarsi di una concreta possibilità d’evoluzione postumana della nostra specie spinge ad altrettanto concrete forme di riflessione sul nostro futuro e, maggiormente, sul futuro delle prossime generazioni. Così come la digitalizzazione ha comportato inizialmente una rimappatura di tutto quello che conoscevamo fino a quel momento (suggerendoci banalmente che la digitalizzazione non portava a nessuna rivoluzione vera ma soltanto a un cambio d’interfacce, salvo poi accorgerci che proprio quella era la vera natura del cambiamento) ora sarà bene, memori della lezione appena ricevuta, cominciare a ragionare sulle implicazioni espressive, linguistiche e lessicali che la nuova umanità dovrà, per forza di cose, impiegare nei suoi interfacciamenti sociali, artistici, cerebrali.
Tanto per chiarire un minimo i dubbi o le incomprensioni che si potrebbero concretizzare in quest’indagine, un umano attualmente utilizza parole che sottendono a concetti in uso da sempre, un linguaggio codificato e referenziale, sviluppato per la maggior parte per l’esigenza di esprimere sensazioni, idee, esperienze e necessità di vita quotidiana. Modi di dire prettamente umani come “mettere il carro davanti ai buoi” o “chi dorme non piglia pesci” risultano assolutamente validi e lampanti poiché delineano immediatamente un quadro memetico universalmente noto, giacché basato su quanto tutta la nostra specie ha sperimentato nel corso dei secoli. Tutto è costruito sull’osservazione diretta, tutto è rapportato al nostro mondo e sensi; ma per un postumano, accresciuto cerebralmente e fisicamente, quali paradigmi si potrebbero prospettare? Avranno ancora senso quei modi di dire che abbiamo appena citato?
Analizziamo un attimo il possibile spettro emozionale di un eventuale postumano tipico di un’età futura imprecisata, probabilmente non troppo avanti nel tempo. Quest’essere possiederà – verosimilmente – una visione degli eventi, di ciò che lo circonda, più alta e profonda dell’umano, e proprio in quanto potenziato potrà accedere a livelli di conoscenza più elevati e assoluti rispetto a quelli attuali. Inoltre, tale capacità potrebbe condurre a una risoluzione naturale di certi astrusi ragionamenti, certi difficili passaggi cerebrali di alcune tematiche che a noi risultano ostiche (vedi, per esempio, la comprensione di molteplici continuum dimensionali). Va da sé che il limite dell’intendimento non svanirà, verrà semplicemente spostato un po’ più in là, ed è proprio quel limite che vogliamo indagare ora: come si esprimerà sull’orlo di quell’orizzonte la postumanità, quali saranno i modelli lessicali che la influenzeranno dal momento che i nostri attuali sono, tutt’al più, scientificamente influenzati da semplice fisica sperimentale o bassa matematica empirica? Sarà proprio l’alta matematica a fornire nuovi ulteriori passaggi lessicali al postumanismo o sarà grazie alla fisica quantistica, che forse diverrà più maneggiabile dalle menti accresciute dei nostri posteri, abituate – perché cerebralmente capaci – a ragionare su problemi multidimensionali che a noi umani del 2000 fanno vaporizzare le sinapsi? Come si strutturerà il linguaggio? Su quale template si modellerà? La poesia come si evolverà? Sarà ancora forgiata dalle parole o il cambio di paradigma sarà sconvolgente, totale, oltre ogni sperimentazione attuale?
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“Nel pensiero l’essere perviene al linguaggio. Il linguaggio è la casa dell’essere. Nella su dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora”.
(M. Heiddeger, “Lettera sull’umanismo”)
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