Lei ha un invidiabile record: ha pubblicato i suoi primi racconti a quindici anni, a cui sono seguiti anche diversi romanzi, pubblicati su Oltre il Cielo e nella collana I romanzi del Cosmo della Ponzoni. Ci racconta in dettaglio quali sono stati i suoi esordi letterari?
È così. Sono nato nel 1945 e ho esordito sulla rivista Oltre il Cielo nel 1960, a quindici anni. Ho sempre amato scrivere e dalla quinta elementare in poi ho costretto i miei compagni a scrivere, raccogliendo questi materiali in una sorta di giornale quotidiano con disegni e fumetti. Un giorno, dopo aver letto un paio di romanzi della collana I romanzi del Cosmo della Ponzoni che mi erano piaciuti pochissimo, ho trovato il coraggio di mandare due miei racconti a Oltre il Cielo che allora pubblicava gli italiani. Uno di questi, a mia insaputa, venne pubblicato sul numero di dicembre del 1960 ed il titolo era Sonno di millenni. Questa fu la molla che fece scattare in me una sorta di libidine nell’invio di manoscritti alle case editrici. La prima che mi rispose fu quella che pubblicava la collana I Gialli dell’Ossessione, a cui mandai un giallo che avevo scritto e che mi venne regolarmente pagato, e devo dire anche molto bene, e pubblicato, cosa che aggiungeva benzina al mio entusiasmo. Poi, Oltre il Cielo mi pubblicò a puntate il mio primo romanzo, che era La città segreta. Tentai anche la carta della Ponzoni Editore che mi accettò un primo romanzo, Gli eredi del cielo, con lo pseudonimo di Hugh Maylon e successivamente il secondo romanzo, I giganti Immortali, venne pubblicato in volume.
Le prime storie da lei pubblicate poggiavano sostanzialmente su due modelli: la narrativa di L. R. Johannis, che altri non era che l’italianissimo Luigi Rapuzzi, e sui romanzi definiti di fantarchelogia, molto di moda in quel periodo…
Johannis è stato uno degli autori che più mi hanno affascinato fin da ragazzo. Ho anche un grande rimpianto: è uno dei pochi grandi personaggi della fantascienza che non ho conosciuto personalmente, perché le nostre strade non si sono mai incrociate. Quando ho assunto la direzione di Galassia ed ho avuto la possibilità di poter pubblicare suoi romanzo lui era già malato e poco dopo è morto. È uno degli scrittori che ho più ammirato per la fantasia e la genialità delle trovate. Poi c’era Peter Kolosimo, che aveva esordito su Otre il Cielo più o meno nello stesso periodo in cui ho cominciato io, e Alberto Fenoglio. Si studiavano i testi di archeologia e si cercava di correlare fra loro in dati meno spiegabili con le varie civiltà. Il tutto diventò una sorta di “filosofia del dubbio”: si mettevano in dubbio tutte le certezze in materia, i paralleli con gli enigmi del passato era molto facile farli e ci si scambiava le leggende. Per esempio, Kolosimo citava un mio racconto come antiche fonti, oppure io citavo un suo romanzo come un testo sacro. Era un gioco goliardico, ma basato anche su uno studio notevole di quello che era l’archeologia all’epoca.
C’è stato, poi, nella sua vita l’incontro con Roberta Rambelli, anche se dovremmo parlare più di scontro, almeno all’inizio…
Si, è vero. Scrissi su oltre il Cielo un articolo sulla fantascienza italiana nel quale stroncavo un suo romanzo sostenendo, in poche parole, che conteneva le più grandi scempiaggini che mai avesse letto.
E da qui è cominciato un carteggio…
Esatto. La Rambelli mi invio una lettera di ben otto pagine, nella quale si difendeva sostenendo che il romanzo l’aveva scritto in quattro ore, ma mi accusava anche di scrivere romanzi di fantarcheologia, genere che per lei era superato. Le mandai un racconto e lei mi ripose che la mia strada era la fantascienza sociologica, alla maniera di Pohl. Io non ne ero molto convinto, però era un filone che mi divertiva molto e per qualche anno ho scritto storie di fantascienza sociologica.
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