Ferro. Cenere. Urla. Ordini gridati attraverso l’auricolare del mio casco tattico. Fuoco. Interferenze di rumore bianco. Dio. Ci stavano facendo a pezzi ed era bene pregare in ginocchio un qualunque dio che riuscisse a riportare tutte le nostre menti sane e salve a un punto di raccolta. Subito. Adesso. La vedevo dura, visto che si stavano accumulando troppi upload nello stesso tempo: l’eccesivo numero di moribondi provocava ritardi, errori di trasmissione. Mi guardai intorno e fui travolto dalla disperazione mentre, in sovrimpressione nella visiera del mio casco, compariva la lista dei caduti aggiornata in tempo reale: i trasmigrati e i davvero morti.L’unità era stata decimata.
La raffica di fulminatore automatico mi raggiunse in pieno petto sbalzandomi all’indietro. I rumori della battaglia per un istante furono attutiti, come se fossi finito di colpo nei fondali di un oceano. In quegl’istanti, il tempo soffriva di aritmia. Il pettorale della mia corazza era scoperchiato all'altezza dello sterno, metteva in bella mostra grossi fori nello strato in lega di magnesio e più sotto, nella ceramica di rinforzo. Dannazione, respiravo come se mi pigiassero i polmoni nella speranza che ne uscisse del buon vino, ma quella non era affatto una buona annata.
Decisi di attivare la procedura di upload della mia mente, come avevo fatto tante altre volte, a due passi dalla morte: lasciavo il campo anch’io prima che fosse troppo tardi, e nel giro di pochi attimi mi sarei ritrovato in un nuovo corpo d’ordinanza.
Pronto per intraprendere una nuova missione.
La mia ennesima morte sarebbe durata un battito di ciglia, nulla di cui preoccuparsi, insomma: con le azioni disastrose di quel periodo, era ordinaria amministrazione.
Passarono i secondi come secoli, ancora nessuna perdita di coscienza: cominciai a preoccuparmi. Ero ancora schiena a terra, invaso dal dolore in tutto il corpo, gli occhi sbarrati verso un cielo fatto di caligine. Nell’area c’erano problemi di trasmissione. Rallentamenti. Troppa gente in fin di vita attorno a me, un’anticamera dell’inferno. Sentii il cuore che scalciava contro la gabbia toracica.
Sentii molto freddo, come un congelamento istantaneo.
Poi venne il nero, un monitor spento, che immerse la mia coscienza in un bagno di pece.
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Sveglio da un po’.
Ridotto a una serie di stringhe alfanumeriche che scorrono in uno schermo acceso, l’unico rettangolo di luce in grado di illuminare la mia esistenza. Lo immagino, perché non posso vedere che il nero: non ho occhi da aprire, ma sono soltanto una memoria zeppa di guerra, tradotta in programma-macchina. Tutto ciò che rimane di vivo, di me. Dolore e strazio.
Qualcosa non ha funzionato, nella procedura di upload effettuata sul campo di battaglia, a causa di un errore di trasmissione, probabilmente. Un errore fatale. In guerra può accadere. A me, invece, finora non era mai successo. Forse è per questo che ho sempre pensato di morire davvero o di riaprire gli occhi in un nuovo corpo.
Mai pensato di finire per essere mente soltanto.
Dalla mia testa è stato scaricato il file temporaneo della mancata trasmigrazione mentale: una zona liminale fra la vita e la morte, dove mi trovo in questo momento. Stanno cercando di recuperare il file originale, e assegnarmi di nuovo un corpo.
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