Una serie di forti detonazioni precedute da cerchi di luce concentrici color ambra, ci aveva fatto capire che la squadra del tenente era riuscita nell’intento di far saltare entrambe le batterie.A tutte le squadre fu ordinato di cessare il fuoco. Un silenzio irreale era calato all’improvviso sull’intera area: solo l’autocannon del Bambino fischiava ancora; le sue canne avevano cambiato colore per il surriscaldamento.
Imbiancati dalla nebbia di calcinacci ci aggiravamo simili a spettri tra le macerie, in cerca di sopravvissuti, nemici e amici.
Fares era apparso dal fumo grigiastro come una rockstar d’altri tempi: poche Pecore erano tornate con lui all’ovile, ma il suo concerto heavy metal a base di granate termo-dirompenti aveva messo in fuga il nemico.
Della milizia extrasistemica non c’era più traccia.
Adesso che l’area era stata liberata a tempo di record e potevamo respirare, ne approfittai per concedermi una dose, seduto sul bordo della strada spezzata, con le gambe penzolanti nel vuoto della voragine. Dall’altra parte, la costruzione dei ponti seguitava indisturbata senza sosta; con l’aiuto di diverse squadre di robot da lavoro, per i genieri non sarebbe stato difficile terminare entrambe le strutture in poche ore.
Mi tolsi i guanti, osservai le mie mani bianche. Le mie mani di sempre, sintetiche e perfette, uguali a tante altre che avevo posseduto.
Potevamo disporre di tutti i corpi necessari per farci ammazzare e tornare alla realtà, qualunque fosse la destinazione.
Nessuno di coloro che avevano trasmigrato più volte poteva ricordarsi di come era stato trovarsi dentro il proprio corpo originale. Se avessi potuto scegliere, penso proprio che mi sarei infilato subito in una confezione da guerra, tenendo per il congedo il corpo con il quale mi ero arruolato.
Ma quello era un esercito di mercenari, non una boutique di noleggio anatomie.
In coincidenza con l’esaurirsi dell’effetto piacevole della droga della Sussistenza, finì anche la parentesi di rilassamento. Fares aveva deciso di distaccare una pattuglia di sicurezza per individuare e valutare dislocazione e atteggiamento del nemico, ed evitare brutte sorprese. Per tale compito aveva scelto noi della squadra Capre, o ciò che ne era rimasto dopo l’ultimo pesante scontro a fuoco.
- Occhi bene aperti, ragazzi. E abbiate cura delle vostre menti, se non volete rimanerci secchi per sempre!- ci aveva raccomandato il sergente Risi via radio, prima d’incamminarci.
Rimanerci secchi per sempre
Non di rado pensavo a come fosse chiudere gli occhi e non risvegliarsi in nessun lettino, dentro nessuna nuova confezione in preda a convulsioni temporanee.
Semplicemente, essere davvero morti...
Ci muovevamo furtivamente tra i blocchi di cemento e rovi di strutture d’acciaio deformate dal calore dei termici. Il nemico sembrava essersi volatilizzato: potevano aver ricorso a piccoli mezzi aerei per sparire così rapidamente. Non riuscivo a credere che avessero rinunciato a presidiare la zona; presto saremmo stati in grado di portare i nostri supporti da questa parte, bloccando con i carri superpesanti la loro avanzata nella capitale.
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