Marler arrivò nel posto concordato e spense l’auto. Uscì e nell’oscurità intravide la sagoma di un uomo che si trovava a una trentina di metri da lui. Lo raggiunse, circospetto: Chang Li-Ang aveva una dozzina di anni meno di lui ed era più basso di circa dieci centimetri; indossava una semplice giacca grigia sopra una camicia bianca. – Eccomi qui – esordì Marler.
– Buonasera – rispose Li-Ang. – La prego di perdonarmi per averla importunata a quest’ora, ma si tratta davvero di una cosa molto importante.
– Non si preoccupi – sorvolò Marler. – Cosa succede?
– Succede che noi abbiamo ottenuto dalle autorità il permesso di riportare il nostro satellite sulla Terra.
– Voi? Intende dire il governo cinese?
– Questi sono dettagli senza importanza – asserì Li-Ang, risoluto.
– Benissimo. Allora mi racconti almeno perché “voi” avete inoltrato questa richiesta.
– Ufficialmente per una banale questione di soldi – spiegò Li-Ang. – Come sa, la regione monitorata dal satellite è stata completamente distrutta dallo tsunami. Tenere in orbita un apparato del genere per guardare un mucchio di macerie comporta una spesa assurda e spropositata. Dal punto di vista economico è molto più conveniente riprendere il satellite per utilizzarlo in altri impieghi.
Marler pensò che quello era un modo piuttosto cinico di ragionare, di fronte alla morte di migliaia di persone, ma preferì tenere quella constatazione per sé.
– “Ufficialmente”… – brontolò invece, seccato. – Posso sapere la versione reale o anche questo è un dettaglio senza importanza?
Li-Ang non si scompose. – Certo – rispose. – È per questo che l’ho chiamata.
Marler fece un cenno per sollecitare l’altro a proseguire.
– La verità è che il satellite è guasto, e prima ce lo togliamo di mezzo meglio è.
– Sempre per una questione di soldi?
Il cinese scosse il capo in segno di diniego. – No – disse. – Semmai per una questione politica. Vede… – ebbe un momento di esitazione. Un’interruzione a malapena percepibile, ma che incrinava il tono neutro e distaccato che aveva usato fino ad allora. – È stato il satellite a provocare lo tsunami.
Il professore sgranò gli occhi e assunse un’espressione esterrefatta. – Che cosa? – mormorò.
– Ha capito bene – confermò Li-Ang. – Quanto è accaduto in Medioriente è opera nostra.
Marler squadrò l’altro in silenzio, con lo sguardo di disapprovazione che si poteva riservare a chi avesse appena fatto una battuta di cattivo gusto.
– Senta, Li-Ang, mi spiace dover mortificare la sua ossessione di onnipotenza, ma quel satellite non sarebbe riuscito a far del male a nessuno, se non a qualche esteta debole di stomaco. L’ho controllato personalmente: non c’era nessuna arma di distruzione di massa lì dentro!
Il cinese abbozzò un sorriso ironico, quasi quella risposta gli fosse sembrata simpaticamente ingenua.
– Non ce n’era nessun bisogno – replicò. – Immagino che lei conosca il concetto di macchina elettrica.
– Non è quello di cui mi occupo abitualmente...
– Mi permetta di rinfrescarle la memoria – disse Li-Ang. Fece qualche passo, come fosse stato alla ricerca del modo migliore di affrontare l’argomento. Marler lo seguì e lui riprese: – Una macchina è un oggetto che converte una forma di energia in un’altra. In una macchina elettrica, almeno una delle due forme di energia è di tipo elettrico.
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