Sono però dei paradossi. Come a volte in E.A. Poe - maestro di van Vogt in quella  che è la scoperta di Poe, il racconto con la sorpresa finale - il quale sosteneva senza arrossire che la lettera meglio nascosta è quella messa in maggiore evidenza, anche ora sembra di essere davanti a un bisticcio logico-verbale nello stile dei koan (“il suono di una mano sola”) e quelle affermazioni vanvogtiane si potrebbero usare perfettamente a scopo di meditazione. Curioso, comunque, come siano A (aristoteliche) in un autore così non-A, non aristotelico. Dato che non altera l'aspetto delle astronavi che partono dalla base di Venere o di Gosseyn quando la usa per spostarsi, la similarizzazione evidentemente agisce su qualche livello profondo e invisibile degli oggetti, cambiando momentaneamente quel livello. Ne consegue che ogni oggetto possederebbe due parti, una visibile e una interiore. Nella scolastica aristotelica erano chiamate apparenza e sostanza, e formulando la frase in termini scolastici, la similarizzazione altera la sostanza, ossia opera una transustanziazione, come il sacerdote nel sacramento dell'Eucarestia, dove l'apparenza resta quella del pane e del vino, ma la sostanza si trasforma in quella del corpo e del sangue di Cristo. Che le narrazioni di van Vogt, con la loro illogicità da trascrizioni di sogni di onnipotenza (l'osservazione è di Clute) muovessero le emozioni del lettore a livello dell'inconscio è cosa nota. Nel suo uso (inconsapevole) di elementi analoghi a quelli delle religioni se ne ha un'ulteriore conferma.