L'attenzione quasi filologica nella trasposizione si evidenzia fin dalle prime scene, nel recuperare quel “Prologo” del Signore degli Anelli - “A proposito degli Hobbit” - di cui gli sceneggiatori sottolineano gli aspetti caricaturali e umoristici, nonché nei riferimenti vaghi ma precisi alla precedente avventura di Bilbo, quella narrata ne Lo Hobbit: la mappa del tesoro dei nani, il curioso elenco di vivande che Bilbo offre a Gandalf (ripreso punto per punto dallo spuntino inaspettato che Bilbo è costretto a offrire ai nani nel precedente romanzo), l'affermazione di Gandalf a proposito di una “spintarella fuori dalla porta”, fanno apprezzare una scelta che recupera l'intento di Tolkien: quello di non spiegare compiutamente le vicende precedenti, ma filtrarle attraverso il non detto, farle immaginare piuttosto che descriverle.
La scelta di inserire nella storia il personaggio di Arwen, la figlia elfica di Elrond legata all’umano Aragorn, non è affatto forzata come si potrebbe credere. Pur se dettata dalla necessità hollywoodiana di aumentare il numero di personaggi femminili nella storia (nella Compagnia appare solo Dama Galadriel, e i Nove compagni sono tutti uomini) e creare un indispensabile intreccio sentimentale, la storia di Aragon e Arwen è descritta compiutamente da Tolkien nelle Appendici. Ripescarla e renderle giustizia è stato quasi un atto d’amore da parte degli sceneggiatori per una vicenda particolarmente toccante e particolarmente cara allo stesso Tolkien: infatti essa non è che la rielaborazione del primo fondamentale “mito” tolkieniano della tormentata relazione tra l'umano Beren e la dama elfica Luthien, e dell'accettazione della mortalità da parte di quest'ultima in cambio dell'amore di Beren. Una vicenda così cara a Tolkien da accompagnarlo persino nella tomba, sulla quale farà incidere il nome di Beren come per la moglie aveva fatto incidere quello di Luthien.
Senza dubbio non mancano nel film di Jackson le “licenze poetiche”: per esempio riguardo i tempi, fortemente accorciati per ragioni narrative. Non passano pochi giorni dalla partenza di Bilbo a quella di Frodo, ma un significativo numero di anni. E anche quando infine Gandalf giunge da Frodo per intimargli di partire, nel romanzo passano diversi mesi prima che questi si decida mentre nel film tutto avviene nell'arco di una notte. Ma va apprezzato il fatto che molte tentazioni della prima sceneggiatura – riguardo il ruolo dominante di Arwen come membro della Compagnia, o l'eliminazione del personaggio di Saruman – siano state successivamente abbandonate. I puristi certo non avranno apprezzato l'eliminazione, questa inevitabile, di un personaggio-chiave nella produzione tolkieniana, Tom Bombadil. Il suo intervento nei primi capitoli della Compagnia è stato completamente cancellato, così come le vicende immediatamente precedenti e successive nella Vecchia Foresta e nei Tumulilande. Sul personaggio di Bombadil non solo Tolkien (ne Le avventure di Tom Bombabil) ma anche un autentico esercito di esegeti e commentatori ha continuato a dedicare fiumi di inchiostro successivamente alla sua breve e memorabile apparizione nella Compagnia. La sua singolarità nel vasto universo tolkieniano e le sue incredibili peculiarità – è più antico persino degli Elfi ed è l'unico in tutta la Terra di Mezzo a resistere al potere dell'Anello – lo hanno reso una figura enigmatica ma, in ultima analisi, del tutto irrilevante nell'economia della storia una volta eliminate le vicende che lo rendevano inevitabile deus ex-machina.
Una particolare licenza poetica decisa dagli sceneggiatori riguarda invece il ruolo di Aragorn. Nell'opera di Tolkien, Aragorn assume subito dopo il Consiglio di Elrond il suo destino di erede al trono di Gondor, a cui era sfuggito nei lunghissimi anni di ramingo: la riforgiatura della lama spezzata di Isildur avviene proprio nella Compagnia mentre Jackson la fa slittare nel Ritorno del Re. Così facendo, nel film Aragorn si rivela un personaggio ben più tormentato di quanto appaia nel romanzo, nel tentativo continuo di sfuggire alla sua regalità e al destino di Isildur. Sarà solo nel Ritorno del Re, e non senza sforzi, che Aragorn accetterà quel destino afferrando la spada che Elrond in persona gli porta da Gran Burrone a Rohan (cosa questa poco chiara vista la non scarsa distanza).
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