Quarant’anni dopo. È il 1994 e il regista Peter Jackson pone nella sua lista dei desideri Il Signore degli Anelli come futuro progetto. Si era appassionato all'opera attraverso il film d'animazione di Ralph Bakshi del 1978, che non era stato certo un successo, ma che fino ad allora rappresentava l'unico serio tentativo di portare al cinema l'opera di Tolkien (prima c'era stato quello, celeberrimo, dei Beatles, che non era approdato da nessuna parte, e ancora prima il tentativo di un certo Zimmerman di creare un film d'animazione quando Tolkien era ancora in vita, progetto questo bocciato dallo stesso Tolkien dopo che il copione aveva stravolto la storia). Fu solo successivamente che Jackson lesse l'intero romanzo, durante un lungo viaggio in treno, convincendosi che doveva essere adattato per il grande schermo. Forse la lettura di Jackson fu troppo frettolosa (dodici ore anche consecutive di lettura per un'opera di quasi millecinquecento pagine non permettono molto approfondimento), ma fu sufficiente a dare il via alla caccia ai diritti cinematografici, che appartenevano a Saul Zaentz (produttore del film di Bakshi) fin dai primi anni Settanta. Non fu una cosa semplice anche perché il primo progetto della Miramax prevedeva un film tratto da Lo Hobbit e successivamente due film tratti dal Signore degli Anelli, ma i diritti per il primo romanzo non erano di Zaentz bensì della United Artists; e inoltre la Universal tentò Jackson con il suo progetto più caro, quello di riportare al cinema King Kong, e per qualche anno dell'opera di Tolkien non si fece più niente. Fu solo quando, nel 1997, la Universal cancellò King Kong (che Jackson avrebbe diretto invece anni dopo), che la Miramax tornò alla carica e Jackson e la moglie Fran Walsh cominciarono a redigere il soggetto, che fu poi trasformato in maniera piuttosto radicale all'atto della stesura della sceneggiatura quando a Jackson e Walsh si aggiunse Philippa Boyens, grande appassionata dell'opera di Tolkien. Ma la cifra inizialmente stabilita per la produzione dei due film del Signore degli Anelli ipotizzati iniziò a crescere e ben presto il preventivo superò di gran lunga le possibilità della Miramax. Quando la casa di produzione decise di fondere i due film in uno solo, proponendo tagli e modifiche radicali alla storia originale, si giunse alla rottura. Ma la New Line Cinema, dopo aver visionato un filmato riassuntivo del lavoro fino ad allora realizzato da Jackson, decise di gettarsi nell'impresa ponendo al regista una sola condizione: che dato che il Signore degli Anelli era una trilogia, si sarebbe dovuta realizzare una trilogia cinematografica e non più due soli film. Jackson non chiedeva di meglio e l'affare fu fatto.
In realtà Robert Shaye della New Line era caduto, come quasi tutti i lettori dell'opera di Tolkien, in un luogo comune: l'idea del Signore degli Anelli come trilogia. Il romanzo, concepito come un'unica storia, era stato diviso per ragioni editoriali. Jackson probabilmente lo aveva capito prima degli altri perché, invece di realizzare tre film, ne realizzò uno solo diviso in tre parti seguendo esattamente le orme di Tolkien e filmando la “trilogia” senza soluzioni di continuità nell'arco di quasi due anni, con soli piccoli ritocchi tra l'uscita di un film e l'altro. La Compagnia dell'Anello, il primo capitolo, uscì nel cinema nel 2001. Gli incassi furono oltre le più rosee aspettative e il film ottenne quattro premi Oscar: per gli effetti speciali targati Weta, la casa dei miracoli fondata da Jackson come Lucas nel 1977 aveva fatto con la Industrial Light&Magic, per il trucco, la colonna sonora di Howard Shore e la fotografia. Anche il mondo della fantascienza fu conquistato dalla Compagnia dell'Anello, che vinse il premio Hugo come miglior film. Ma cosa avrebbe detto Tolkien se avesse potuto guardare anche lui il prodotto finito? Probabilmente lo stesso Peter Jackson si era posto la domanda quando aveva cominciato a lavorarci su; i precedenti non erano stati eccezionali e la Hollywood contemporanea non avrebbe faticato a trasformare Il Signore degli Anelli in un action-movie come tanti. Invece, guardando il film – e ancora di più la sua versione estesa che ormai è diventata quella definitiva – l’appassionato di Tolkien non può fare a meno di riconoscere agli autori una straordinaria volontà non solo di trasporre fedelmente il romanzo ma di ricreare l’atmosfera, lo spirito, l’essenza più intima dell’opera, quella che Tolkien considerava chiaramente “infilmabile”.
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