Philip K. Dick è noto ai più soprattutto per il romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Blade Runner) da cui Ridley Scott ha tratto un superbo film; ma quando uscì il film fortemente voluto e curato nelle sue fasi iniziali dallo stesso scrittore, Dick era già morto per infarto. La sua fama fu postuma: nell'arco della sua vita scrisse qualcosa come cinquanta romanzi e centinaia di racconti. Solo da qualche tempo a questa parte la statura intellettuale di P. K. Dick è stata rivalutata, tanto che oggi è considerato a ragione autore di culto: gli appassionati sicuramente non possono non ricordare almeno La svastica sul sole, Ubik, I simulacri, Il disco di fiamma. Personaggio intellettualmente impegnato, negli anni Sessanta e Settanta ha scritto per lo più romanzi di fantascienza, una fantascienza cruda quanto mistica che rimane un caso unico nel panorama della SF. Il più autobiografico dei suoi romanzi è sicuramente Confessioni di un'artista di merda, romanzo dove l'autore mette in rilievo tutta la drammaticità della sua vita sempre in bilico fra le contraddizioni espresse dalla religione e quelle più concrete della società: di questo romanzo-testamento si può dire con piena certezza che è il testamento "spirituale" dickiano. Ma Dick, oltre ad essere uno scrittore di fantascienza, fu anche un profondo conoscitore della società americana: oggi la sua opera è stata apprezzata da personaggi di spicco come ad esempio da Fernanda Pivano (la più grande conoscitrice della Beat Generation alla quale ha dedicato saggi ormai entrati nell'olimpo della saggistica di classe), da Sergio Cofferati (il quale ha scritto una bellissima prefazione all'edizione italiana di Ubik), da Stefano Benni e da tanti altri. I riconoscimenti italiani sono tanti così pure quelli internazionali; a tale pro basti ricordare nomi come Ursula le Guin e Fredric Jameson.

Recentemente stanno uscendo per conto della casa editrice Fanucci parecchi romanzi inediti dello scrittore di culto: Mary e il Gigante è un esempio significativo che bene testimonia la grandezza culturale di P. K. Dick. Il romanzo è la cronaca di una vita e d'amore ambientata in una cittadina della California degli anni Cinquanta, anni tra i più controversi per l'America sia socialmente, sia culturalmente. Mary Ann Reynolds è una ragazza insoddisfatta della vita che conduce: intorno a sé non può fare a meno di notare le "peccaminose" ingiustizie sociali, ingiustizie che in un primo momento sembrano disgustarla ma che non può fare a meno di condividere (accettare) almeno in parte. Ha relazioni orgiastiche nel quartiere nero della cittadina (jazz, blues e rabbia in un concentrato sociale dissacrante quanto provocatorio degno del migliore scrittore esistenzialista Boris Vian autore di opere come "Sputerò sulle vostre tombe" e "La Parigi degli Esistenzialisti"), si lega sentimentalmente ad un uomo di colore, poi finisce con l'innamorarsi di un sessantenne gestore di un negozio di dischi. Mary e il Gigante racconta attraverso le traversie amorose, le difficoltà che si incontrano tentando di inserirsi in un contesto sociale predefinito, insomma racconta la "guerra fredda" in atto durante gli anni Cinquanta. E' un romanzo della fase decisamente più mainstream di Dick, lavoro che in vita non riuscì a pubblicare. Per quanti credono che Mary e il Gigante sia un romanzo punto e basta scevro di elementi tipici della SF, io direi che è piuttosto il contrario. Il talento narrativo di Dick in un romanzo come questo non si esaurisce nel mainstream: provate a leggere fra le righe e verrà fuori tutto un mondo convulso di "simulacri". Ancora una volta P. K. Dick ha dimostrato quella che è ormai la sua incontestabile fama di autore di culto.