L’esordio di SyFy, il nuovo canale tematico via cavo della Universal nato da una sorta di restyling di quello che era Sci-Fy Channel, non poteva essere più soddisfacente sotto il profilo dell’audience. Grazie infatti a Warehouse 13, SyFy ha potuto registrare ben 3,5 milioni di telespettatori, una cifra assolutamente fantascientifica per il canale tematico via cavo, e soprattutto che non veniva registrata dal debutto di Eureka del 2006, avvenuto sulla precedente versione dell’emittente. Warehouse 13 è una sorta di ibrido che mescola elementi di iconografia propria del ciclo di Indiana Jones, fondendoli a mistero e dinamiche di X-Files e all’humour e alla stravaganza di Eureka.
Al timone dell’intera operazione c’è una signora ben nota negli ambienti fantascientifici, quella Jane Espenson co-produttrice e scrittrice per alcune delle più importanti serie sci-fy dell’ultimo decennio come Battlestar Galactica, Dollhouse, Caprica, True Calling, Buffy the Vampire Slayer, Star Trek Deep Space 9, Firefly e Angel.
Warehouse 13 è un non-luogo dove vengono stivati i più potenti e misteriosi artefatti ritrovati nel corso dei secoli, conservati in questo misterioso magazzino (che nella fiction è disegnato e architettato nientepopodimeno che da Thomas Edison, Nikola Tesla e MC Escher alla fine dell’ottocento) per essere protetti e studiati dal governo americano. Iconograficamente quindi i parallelismi con il ciclo di Indiana Jones si sprecano, però finiscono qui, perché poi al posto di Indy troviamo una coppia di agenti del governo degli Stati Uniti che sembrano usciti fuori da uno spin-off degli X-Files, con l’agente femmina Myka Bering, fredda, calcolatrice, scettica e vagamente antipatica, al fianco dell’agente maschio Peter Lattimer, istintivo, intuitivo, irrazionale, e vagamente antipatico pure lui, che probabilmente sotto la camicia e la cravatta indossa la maglietta con su scritto “I want to believe”. A completare l’equipaggio c’è il buffo Artie Nielsen, vero e proprio “capo-magazziniere”, che gestisce e archivia gli artefatti presenti nel complesso e svolge l’attività di coordinatore per le avventure che intraprenderanno i nostri eroi durante il recupero di possibili oggetti dal misterioso potere.
Sotto il profilo tecnico e quello degli effetti speciali, il pilot è confezionato egregiamente per lo standard televisivo, e anche il ritmo e i colpi di scena sono dosati con mano esperta grazie a una sceneggiatura che vede coinvolto, oltre alla già citata Jane Espenson, anche Rockne S. O’Bannon, il creatore di quel piccolo gioiello che risponde al nome di Farscape. Le dolenti note giungono invece dal duplice problema della gestione dei personaggi e degli attori che li interpretano. Da un lato infatti i personaggi sono estremamente caricaturizzati e stereotipati. Essi agiscono secondo schemi visti e rivisti, senza alcuna sfumatura, in una piattezza che rasenta spesso l’antipatia. Questo aspetto viene purtroppo esasperato dal basso livello di interpretazione che Eddie McClintoch e Joanne Kelly forniscono nel ruolo dei due protagonisti, cui avrebbero invece potuto sopperire attraverso l’interpretazione. Anche quando c’è un tentativo da parte della sceneggiatura di munire gli agenti di sfumature o profondità, esso viene vanificato dalla mediocrità espressiva dei due. L’esperienza ci insegna che quando non si azzeccano gli attori protagonisti, la qualità di qualsiasi telefilm alla lunga ne risente.
A risollevare di un tono la qualità del cast c’è Saul Rubinek (un caratterista di grande esperienza che ha lavorato in migliaia di telefilm, molti di questi a carattere fantascientifico, come Stargate SG1, Eureka, Lost, Outer Limits, Matrix, Star Trek TNG), che nel ruolo di Artie fornisce un’interpretazione soddisfacente, anche se c’è in lui una tendenza al troppo gigioneggiare.
Warehouse 13 rappresenta quindi un prodotto sufficientemente godibile, a tratti divertente, e che ha la non irrilevante qualità di lasciarsi guardare. E’ una fantascienza leggera e d’evasione realizzata discretamente, ma che a mio avviso è priva di quei caratteri di originalità e idee che permettono a una serie di catturare continuativamente lo spettatore più smaliziato.
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