Interessante e centrale è poi il personaggio di Milena, perfetto contraltare di Arno. La donna si illude di poter vivere al di fuori dei canoni cittadini, dell’inquadramento che la società ha imposto alla sua vita, consapevolmente o meno poco importa. La sua reazione alla vita che si conduce a Pieve Lunga è a dir poco isterica. Tutto va bene quando il modo di vivere bucolico è una pura illusione mentale, un pensiero inseguito dallo spirito. Quando quel pensiero si traduce in realtà, per una donna (o uomo) civile non resta che la fuga e l’oblio di un’esperienza traumatica. In tal senso, Milena rappresenta tutti noi, l’uomo moderno, capace al massimo di concedersi un contatto con la natura solo durante le vacanze.
Il romanzo è anche una critica non troppo velata dello scrittore pavese alla crescente urbanizzazione della campagna – negli anni Sessanta e Settanta in piena espansione - e della massiccia alienazione (in senso marxiano) introdotta nella vita di tutti giorni; alienazione che dal lavoro si trasferisce anche nella vita privata, fino a penetrare negli atteggiamenti e nei pensieri.
L’incipit del romanzo è in tal senso illuminante: “Ieri, ad esempio. Mica è stato facile, ieri, maneggiare sterco per cinque ore filate. C’è una macchina che espelle le schede, una ogni minuto, giusto il tempo perché Arno possa eseguire un rapido controllo e apporre il visto di registrazione. Tutto lì.”
Più avanti, quando Arno ha incontrato Milena, che sembra condividere il suo malessere, ecco cosa scrive Aldani: “Una città di morti. Una necropoli. Ed è come se Milena parlasse leggendogli il pensiero. Dagli oscuri meandri della memoria affiorano immagini e parole dimenticate. Anche lui l’ha pensato più d’una volta, anche lui ha pensato che l’antenna televisiva sul tetto d’una casa è come una croce piantata su una tomba, il segno che là sotto sono tutti cadaveri.”
Altro personaggio importante è il Politico, un sindacalista amico di Arno, una sorta di coscienza civile che richiama ai valori della società da cui Arno tenta di fuggire e che, pur non condividendo le scelte dell’amico, lo aiuterà a cancellare le tracce del suo passato per rinascere a nuova vita.
Altra critica mossa al romanzo – sempre all’epoca in cui uscì – fu l’eccessivo “pavesismo”, inteso come sovrabbondante ricorso ad ambientazioni italiane e provinciali (i dintorni di Pavia) e quindi ritenute poco fantascientifiche. Ma a nostro avviso questo è un punto di forza. Aldani ha sempre ricercato una sua personale via alla science fiction, ma anche incoraggiato una via italiana alla fantascienza, in un periodo storico – gli anni Sessanta – in cui predominava il modello americano, ossia la scelta da parte degli autori italiani di ambientare storie negli Stati Uniti e con personaggi americani. La scelta di raccontare la propria terra ci sembra normale per uno scrittore, e questo perché non dovrebbe riguardare anche per uno scrittore di fantascienza?
L’ambientazione nella provincia pavese ci introduce ad un confronto che a nostro avviso è quasi naturale e per nulla fuori luogo, quello con Cesare Pavese ed il suo capolavoro La Luna e i falò, del 1950.
Anguilla è il personaggio principale del romanzo – e guarda caso anch’egli con un nome-sopranome legato al fiume, alla terra – che a quarant’anni e dopo aver fatto fortuna in America, torna nel paese dove ha passato la sua infanzia, cresciuto da trovatello in casa di poveri contadini. Il suo è un viaggio nella memoria, nei luoghi, profumi, sapori, consuetudini, facce, nel tentativo di trovare un senso alla propria attuale esistenza.
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