Girare nelle location di Johannesburg
“Visto che Neill Blomkamp è sudafricano, porta un punto di vista unico a questa storia”, sostiene Peter Jackson. I realizzatori hanno sempre voluto girare District 9 a Johannesburg, in Sudafrica. Mentre la storia avrebbe potuto facilmente essere realizzata in qualsiasi metropoli di una nazione in via di sviluppo, soltanto Johannesburg forniva questa sensazione africana unica che Blomkamp conosce bene e da cui è sempre stato ispirato. “Penso che sarebbe incredibilmente difficile replicare altrove quello che c’è a Johannesburg”, sostiene Blomkamp. “Ci sono talmente tanti dettagli visivi qui, come lo sporco, il filo spinato o l’erba. C’è veramente una grande ricchezza visiva. Perché il film funzionasse, ritenevo ci fosse bisogno di questo livello di realismo e di inquinamento”. Come ricorda Sharlto Copley, il regista si è chiesto per un momento se fosse proprio necessario girare nella baraccopoli. Copley, che era presente in molte scene lì e che aveva prodotto il cortometraggio originale, non ha avuto esitazioni. “Gli ho detto subito di sì. Sapevo che sarebbe stata dura, ma dovevamo farlo, non potevamo semplicemente ricostruirlo in un teatro di posa. Quando stai lì fuori, emergono tutte le emozioni”. L’aumento della criminalità ha stravolto la città negli anni successivi alla partenza di Blomkamp per Vancouver, ma lui ha trovato interessanti questi cambiamenti e li ha inseriti nella sua storia. “È diventato una comunità con muri di protezione, filo spinato, recinti elettrici, telecamere a circuito chiuso e tante società di sicurezza private”, sostiene Blomkamp. “I cambiamenti avrebbero potuto rendere Johannesburg una città orribile, ma io invece li trovo visivamente stimolanti e li adoro”. Per District 9, Blomkamp ha dato vita a una visione dura, quasi apocalittica della città. Mentre manteneva gli autentici elementi sudafricani, ha anche creato una Johannesburg fittizia che risulta un luogo assolutamente grigio. Per ottenere questo risultato, i realizzatori hanno girato il film nei mesi secchi invernali. In estate, la zona è bella e verdeggiante, ma in District 9 non è quello che ci viene mostrato. “Abbiamo girato d’inverno perché desideravo che la città del film avesse l’aspetto di un territorio urbano desolato”, commenta Blomkamp. “Girando in inverno, ovunque si guardasse, c’erano dei fuochi, della cenere e dell’inquinamento che punteggiavano l’orizzonte, proprio quello che volevo”. I realizzatori sono stati fortunati a trovare la location perfetto a Tshiawelo, alla periferia di Soweto. Le persone vivevano nelle baracche da anni e le riprese stavano per cominciare, quando le autorità locali hanno deciso di trasferirle in residenze statali a venti chilometri di distanza, abbattendo così le baracche. La produzione ha acquistato quelle che sono rimaste, ha recintato la zona e ha creato un ambiente controllato in cui girare. “Siamo stati veramente fortunati con Tshiawelo”, sostiene Blomkamp. “La location aveva l’aspetto preciso che avevo in mente”.
Per lo scenografo Philip Ivey, Tshiawelo e le baracche fornivano una solida base su cui lavorare. “Avevamo tutto, compresi la spazzatura e il ferro polveroso sulle nostre dita”, ricorda Ivey. “Quello che abbiamo fatto è stato comprare le baracche demolite e poi ricostruirle grazie a questo materiale. Questo ci ha risparmiato la ricerca del materiale, ha fornito un aspetto più autentico e ci ha permesso di non sprecare tempo”. Ivey ha anche deciso di coinvolgere come art director Emelia Weavind, che aveva già lavorato nella stessa zona come scenografa della pellicola vincitrice dell’Oscar® Il mio nome è Tsotsi. “È fantastica, rispetta e ama gli abitanti e quindi loro contraccambiano calorosamente”.
“Come sudafricano, quando vai nelle baraccopoli, è veramente emozionante”, sostiene Sharlto Copley. “Non dimentichi mai che questo è un set per te, ma ci sono persone reali in queste baracche. Quando si lavora a Soweto, la gente che sta lì è felice di vederti, perché tu porti un po’ di soldi sul posto mentre giri”.
Le scenografie di Ivey per il film rappresentano un contrasto tra il mondo reale e banale degli esseri umani e quello fantascientifico, eccessivo ed esagerato dei non umani. “Questi due elementi sono spesso in contrapposizione nel film ed è proprio quello di cui tratta la pellicola”, sostiene Blomkamp. “Tutto quello che abbiamo costruito proviene da queste riflessioni”.
Tra il mondo ordinario degli umani e quello bizzarro dei non umani si colloca la tana di Obesandjo. Il personaggio è un re della malavita nigeriana, l’unico legame per i non umani con il contrabbando, ma non è assolutamente benevolo. La sua dimora ha uno stile unico, che rappresenta una moltitudine di diverse influenze africane. Qui Ivey e la Weavind hanno creato un set a diversi livelli che è affascinante ma anche spietato. “Questo spazio ha molti scopi”, spiega la Weavind. “È un bar, una macelleria e un negozio di parti di veicoli a motore, oltre che un luogo dove si pratica la medicina tradizionale e in cui un sangoma (un guaritore Zulu) pratica dei rituali. Lo abbiamo ideato e arredato in modo tale che in ogni parte ci sia qualcosa di interessante da vedere, dalle ossa animali ai barattoli con le creature morte, fino alle scatole di munizioni”.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID