Kemiat annuì. - Sì, e non è affatto l'utopia. L'utopia, vedi, Arun, postula l'eliminazione del dolore, la distruzione dell'ingiustizia. La psicostoriografia può solo ridistribuire quantità storiche già esistenti. Non tutti liberi allo stesso modo, Arun... ma tutti ugualmente schiavi. Tutti ugualmente poveri. Tutti ugualmente infelici. Tutti, allo stesso modo, senza speranza. Senza possibilità di decidere, senza una meta, senza una direzione, perché lo stato di massima entropia è la meta ultima e oltre non esistono più direzioni. Vuoi sapere cosa ha fatto di Kaurit Aymer un uomo di ghiaccio e perché è andato a morire tanto tranquillamente, perché non provava orrore per quello che ha visto sulla Timo? Ha costruito un piano psicostoriografico perfetto e quando lo ha messo in pratica non è rimasto più nessuno spazio per la sua ragione. Non poteva più agire: non poteva più sperare. Tutto era già deciso. Non provava più orrore: c'era uno scopo nella sofferenza che vedeva. Non provava più gioia: tutto avveniva come per una legge di natura. Non mi stupisco che volesse solo morire.- Tu sei troppo catastrofico - mormorò Piet.- No. Ho messo in moto anch'io questo meccanismo infernale. Lo sai perché la chiamano entropia? Non c'è ritorno possibile. L'utopia... era realizzabile. Per un tempo limitato... con possibilità bassissime... ma che cos'è tutto il nostro universo se non una nicchia anomala di bassissima entropia? Forse con uno scatto creativo, con un momento di genialità, si sarebbe potuto fare quello che noi psicostoriografi abbiamo sognato.  La voce di Kemiat si abbassò. - Tutti uguali e tutti felici. Ma ogni uso che si fa della psicostoriografia ne incoraggia la diffusione, ne allarga la pratica... e accelera i tempi. La psicostoriografia è la ragione umana a capo della storia, ma ad ogni sua mossa la ragione restringe il proprio campo d'azione. Finché... ah, Arun, tu eri nel giusto. Non è questo il modo di usare la ragione.

Piet non rispose. Per un momento, non aveva sentito niente. Fissava la finestra, che ora non era più un quadrato scuro ma una debole fonte di chiarore. Si alzò rigidamente in piedi e guardò le cime delle montagne più alte farsi rosa arancio.

- Il vostro sbaglio, Auvin - disse, come soprappensiero - è stato uno sbaglio di arroganza e presunzione. Non vi siete fidati della ragione che c'è in ognuno di noi. Avete pensato di essere voi i soli a custodirla. Per questo avete sentito l'esigenza di guidare la storia: invece di farne parte. Perché volevate sottrarla alle mani di quella che certo doveva sembrarvi una massa ignorante: perché pensavate di poter fare meglio di loro.

Poi si voltò a guardare Kemiat, che non aveva risposto.

- Tu lo hai sempre saputo. Perché non hai fermato Aymer? Perché non mi hai aiutato?

Kemiat sospirò. Rimase zitto ancora un po', poi disse, stancamente:

- Perché volevo una patria per i kaina. Perché doveva esserci una patria per i kaina. Non avevamo scelta, Arun. Non ce ne avete lasciata. Ti ricordi cosa dicesti dopo il massacro della Timo? Non c'era altra scelta. Ancora adesso non so se fosse vero. Forse non c'era davvero. Solo tu puoi saperlo, Arun: sei stato tu a farlo. È stato quello il punto di svolta, il momento in cui il Piano di Aymer si èmesso un moto... e noi abbiamo perso la nostra libertà, per sempre. Ma noi non avevamo scelta. Noi non l'abbiamo avuta. Mai.

Piet scosse la testa.

- Fanatici - disse sottovoce. - E la chiamate ragione.

- Non eravamo fanatici, prima che questa storia cominciasse - disse Kemiat.

Piet rise. Era una risata brutta, sgradevole.