La trattativa stava già iniziando. Tutto secondo gli schemi già studiati mentalmente infinite volte.Non c'era bisogno di me, adesso. Mi allontanai, con  lo stomaco rivoltato dalla nausea, e i sentimenti e pensieri più disparati che facevano a pugni nel mio cervello.Ma ovunque andassi, trovavo solo cadaveri, moribondi che si trascinavano, tracce di sangue non ancora rappreso o addirittura schizzi di materia che non osavo identificare. Temetti persino che qualche prigioniero liberato dalle celle, non conoscendomi, si avventasse anche contro di me, credendomi Inalterato.

Mi inoltrai per i corridoi più interni, attraverso zone dell'edificio che parevano deserte, pur di sfuggire a quelle scene.

Poi mi imbattei in un cadavere diverso dagli altri: una donna, riversa in posizione innaturale, gli occhi sbarrati per l'incredulità e l'orrore. Morta da pochissimo, giudicai. Il suo NIE, l’apparecchio multifunzione, la connessione di ciascuno di noi alla rete di informazione e calcolo, comunicatore e arma, all’occorrenza, era gettato da parte, non aveva fatto in tempo a usarlo.  Sul suo camice bianco e sul suo collo spezzato c'erano evidenti segni di bruciature, persino l'impronta annerita di un palmo aperto.

Manodifuoco. Questo riaccese la mia curiosità,  scacciando momentaneamente l'orrore. Mi ero dimenticato di lei; l'avevo appena intravista prima che i portelli si aprissero, ma poi avevo avuto ben altro a cui pensare. Ora mi chiedevo dove fosse andata, e se avesse poi ritrovato in vita quel suo misterioso compagno. Percorsi quel corridoio, affrettando il passo, ed alla fine intravidi la sua ombra, e la sua figura sottile schizzare  oltre l'angolo del muro.

La seguii, tenendomi a prudente distanza, finché si arrestò davanti a una grande e pesante porta metallica. Armeggiò per aprirne la chiusura, e poi si precipitò dentro. Mi avvicinai strisciando lungo il muro: sembrava una cella frigorifera. Accanto al portello c'era una grande vetrata, attraverso la quale si poteva vedere l'interno della cella.

Vidi un uomo, accasciato su una brandina, in atteggiamento di totale sconforto. Nonostante le pareti fossero rivestite di uno spesso strato di ghiaccio, l'uomo indossava solo una specie di pigiama leggero. Era magro, con i capelli neri e i lineamenti aguzzi,  e pallido, al punto che la sua pelle aveva riflessi bluastri. Il suo corpo era pieno di cicatrici. Sulla sua fronte lampeggiava la "M" dei Mutanti.

Poi, vide Katiina. Allora sembrò trasfigurarsi: si alzò in piedi di scatto e si precipitò verso di lei, che a sua volta gli correva incontro. Si arrestarono a pochi passi l'uno dall'altra, cominciando ad avvicinare la punta delle dita, in atteggiamento di grande emozione. Lentamente si avvicinarono, iniziarono a sfiorarsi le mani, le braccia, sorridendosi dolcemente. Ora, come per miracolo, non sembravano più un uomo scialbo e una creatura selvaggia, ma solo due giovani innamorati. Katiina pareva trasfigurata, con i lineamenti distesi e lo sguardo sognante, tanto da apparire quasi bella.

E nessuna coppia di innamorati avrebbe potuto trarre tanto piacere dal semplice sfiorarsi, quanto loro. Sembrava volessero prolungare quegli istanti all'infinito. Poi si avvicinarono ancora, fino a ritrovarsi abbracciati. Il calore che emanava dal corpo di Katiina era quasi tangibile: il ghiaccio alle pareti stava lentamente fondendo, e la stanza era avvolta in un vapore azzurrognolo.

Mi vergognavo di spiare quella scena così intima, ma al  tempo stesso ne ero affascinato, tanto da non riuscire a distogliere lo sguardo.

E non ero il solo. Una voce calma alle mie spalle mi fece trasalire. Quella di Aelc.

- Eccolo, il suo uomo.  Katiina fu portata in questo Centro appena nata, quando manifestò la sua stranezza. La allevarono, le diedero persino un'istruzione, e fu trattata meglio di tanti altri, qui dentro. Anche se rimaneva un fenomeno Mutante sotto osservazione.