In libreria dall'11 giugno il romanzo d’esordio di Warren Fahy dal titolo Fragment (Fragment, 2009). L’autore narra dell'isola di Henders, dove l’evoluzione nei millenni ha preso una via molto diversa dalla nostra, tanto diversa da essere estremamente pericolosa per l’uomo e la natura come noi la conosciamo.
Sono molti i romanzi che narrano di terre dimenticate dove sono sopravvissuti animali preistorici, oppure dove vivono animali pericolosi frutto di esperimenti proibiti, a partire dal romanzo di Edgar Rice Burroughs (La terra dimenticata dal tempo) per arrivare sino a Michael Crichton con il suo Jurassick Park. Il romanzo ricorda inoltre le atmosfere di Lost.
L’isola di Henders, spersa nell’Oceano Pacifico del sud, a duemila chilometri dalla civiltà, fu scoperta nel 1791 dalla marina inglese. Il capitano della nave, Ambrose Spencer Henders, vista la natura selvaggia e le pericolosissime bestie che vi abitavano, decise di non dire nulla a nessuno. Solo ai giorni nostri, con la moda dei reality show e i produttori sempre a caccia di novità per rendere i loro programmi sempre più avvincenti, l’isola di Henders viene riscoperta. Solo per toccare con mano una realtà fatta di specie mostruose e invulnerabili.
Un romanzo che ha il ritmo forsennato di una corsa contro il tempo, la tensione di una lotta all’ultimo sangue.
L’autore. Warren Fahy, da sempre appassionato di neurobiologia, progetta giocattoli robotici. È stato libraio, analista statistico, direttore di un video database, per il quale ha scritto centinaia di recensioni di film.
Fragment, suo romanzo d’esordio, è in uscita in quindici paesi. Vive a San Diego, California.
Un brano dal romanzo. <<...Urla e ululati da incubo invasero l’atmosfera fetida della boscaglia mentre lui faceva lo slalom tra le piante, schivando i dardi urticanti lanciati dagli alberi. Rischiò di andare a sbattere contro un tronco coperto da una spirale di fauci verticali da squalo. Le evitò solo all’ultimo istante, ma due ratti di Henders che lo inseguivano andarono a cozzare contro il tronco e scomparvero subito nelle bocche pronte a scattare.
Zero cercò di restare concentrato, per non concedersi il lusso di adagiarsi su un ritmo prevedibile.
Le suole di gomma delle scarpe da corsa stavano perdendo il carrarmato, si stavano letteralmente liquefacendo. Eppure non si fermò. Stranamente, mano a mano che il sudore evaporava, gli sembrava di essere rinchiuso dentro una bolla che teneva lontane le altre creature come una parete invisibile. Attraversò illeso i corridoi schivando i dardi che uscivano dalla giungla, senza avere il tempo di chiedersi che cosa stava succedendo o perché.
Procedette continuando a zigzagare nel fitto della foresta tra le gallerie, cercando di tenersi comunque abbastanza vicino ai solchi lasciati dal Rover, fino a quando incappò in una voragine inaspettata e scivolò nella fanghiglia appiccicosa. «Oh merda!» farfugliò mentre slittava lungo una foglia gigante, evitandone gli uncini. La foglia cominciò a chiuderglisi alle spalle una sezione per volta. «Oh merda! » ripeté qualcuno nascosto tra i rami.
Zero sentì un fiotto di adrenalina e scattò istintivamente verso la voce umana.
«Oh merda, oh merda! » stava dicendo la voce. Soltanto allora capì che era la sua. Quando guardò in su vide un «seppianzé» che si lasciava cadere dalla volta della foresta e ripeteva «oh merda, oh merda» mentre spalancava le sei zampe. Zero rotolò sotto un albero caduto, poi scattò all’insù e riprese a correre evitando una raffica di discoformiche proiettate come tanti frisbee verso le sue gambe. Quindi si esibì in un salto con l’asta sopra uno stelo tipo yucca che si aprì e cercò di arrotolarsi attorno alla sua mano, ma lui riuscì a staccarsi in tempo e atterrò con una capriola sotto un tronco morto coperto di trifoglio in cui andò a conficcarsi una salva di dardi sparati dagli alberi vicini, a parte due che invece gli affondarono attraverso i calzoni nel polpaccio destro.
Se li strappò immediatamente, ma quando si rimise in piedi e ripartì sentì che la gamba era intorpidita...>>
La quarta di copertina. Uno sperduto, minuscolo lembo di terra, frammento transfuga di un antichissimo supercontinente, ha visto passare le ere geologiche nel cuore del Pacifico mentre le placche tettoniche lo trituravano inesorabili fino a ridurlo alle dimensioni di un atollo. Qui, nel totale isolamento da ogni altro ecosistema, animali e vegetali hanno compiuto per cinquecento milioni di anni un cammino evolutivo diverso rispetto al resto del pianeta. Qui la vita è ciò che avrebbe potuto essere e non è stata. Qui la feroce, incessante lotta per la sopravvivenza ha selezionato specie pressoché immortali che, se dovessero migrare in un altro ecosistema, innescherebbero la distruzione di ogni altra forma di vita terrestre.
Fortunatamente l’isola di Henders è persa in mezzo all’oceano, circondata in ogni direzione da duemila chilometri di deserto acquatico, lontano da tutte le rotte.
Dopo che nel 1791 il suo casuale scopritore, il capitano di vascello della Marina britannica Ambrose Spencer Henders, toccò con mano di cosa erano capaci gli esemplari autoctoni, decise saggiamente di tenerla nascosta all’umanità come un insignificante scoglio non meritevole di una deviazione.
Ma che cosa succede se la drammatica «riscoperta» di questa bomba biologica a orologeria avviene durante la puntata da record d’ascolti di un reality show oceanografico? In diretta, davanti agli occhi di mezzo mondo? Come impedire alle specie letali di evadere dall’isola o, viceversa, come salvare quell’unica forma di vita intelligente che è destinata a riscrivere la scienza?
Warren Fahy, Fragment (Fragment, 2009)
Traduzione Giancarlo Carlotti, Cairo Editore, collana Scrittori stranieri, pagg. 461, euro 18,50
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