Nel lontano 1977, Jim Ballard era stato così gentile da recensire il mio terzo romanzo con il commento “lo scrittore di idee britannico più interessante della sf”, o, più esattamente, “l’unico scrittore di idee britannico della sf”.
Naturalmente anche Ballard stesso era uno scrittore di idee, veicolate da potenti metafore. L’idea della catastrofe portata dal fuoco, dall’acqua, dalla terra e dall’aria nella sua “quadrilogia degli elementi” scritta come un Joseph Conrad surrealista; subito seguita dagli studi intensamente psicodrammatici del moderno panorama dei media e del consumismo, e dei loro icone e beni feticizzati in The Atrocity Exhibition e Crash, sotto lo stimolo della rivista sperimentale New Worlds diretta da Michael Moorcock, e ancora nel campo della psicopatologia dell’ecosistema dei grandi condomini, o delle comunità espatriate, e così via, nei quali Ballard è unico come prosatore-poeta del 20° secolo, tanto che basta una sola frase per identificare il suo stile.
Tipicamente i suoi libri partono calmi, in superficie, e progressivamente generano una sorta di mesmerismo incantatorio sul lettore. I suoi personaggi in genere sono ossessivi e fortemente legati alle loro ossessioni, nelle quali trovano una gratificazione psichica.
Un solo libro è realmente gioioso, The Unlimited Dream Company.
Purtroppo ho incontrato Ballard di persona solo un paio di volte, perché non partecipava mai a incontri del mondo della fantascienza, ma posso dire che era davvero una persona “genial”. Il termine inglese genial in italiano si traduce “cordiale”, mentre “geniale” in inglese si dice “of genius”. Un tipico false friend, ma che importa: Balard era sia genial che geniale.
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