…Nello spazio ritorna

A come Andromeda rappresenta una sintesi quasi perfetta di tutti i temi in voga nella

fantascienza degli anni Sessanta-Settanta. C’è l’affermazione dell’esistenza di altre forme di vita intelligenti oltre la nostra, unita alla consapevolezza della difficoltà di comunicare con esse. Lo stesso sistema di comunicazione usato, il codice binario, pone il tema del linguaggio e della sua interpretazione: quand’anche riuscissimo a incontrare una civiltà extraterrestre, come comunicheremo? E siamo sicuri che non ci fraintenderemo a vicenda? C’è il senso della scoperta e del mistero, quel sense of wonder che caratterizzava la fantascienza dell’età dell’oro. C’è il rapporto tra gli uomini e la tecnologia, che comincia a invadere la sfera del quotidiano, e il suo sfruttamento a fini commerciali. C’è l’antimilitarismo, chiaro ed evidente messaggio che la scienza deve restare in mano agli scienziati. E poi c’è il rapporto tra le scoperte scientifiche e il loro utilizzo: l’entusiasmo di Fleming per la rivoluzionaria scoperta lascia un po’ alla volta spazio ai dubbi su fino a che punto la scienza stessa possa spingersi senza mettere in pericolo non solo la vita umana, ma la sua concezione etica, ovvero l’umanità intesa come sintesi tra emozione e raziocinio. Qui il confronto con la macchina e soprattutto con l’essere Andromeda diventa snodo cruciale della vicenda. Il computer è davvero alieno in tutti i sensi: privo di qualunque esitazione, non previste nel programma, la macchina persegue gli obiettivi per cui è stata programmata utilizzando ogni mezzo opportuno e necessario, secondo una logica abituata a piegare gli eventi e a discriminarli in base a ciò che è utile ed efficiente e a ciò che non lo è. In questo senso l’omicidio di Christine è utile in quanto mezzo con cui la macchina può finalmente acquisire le informazioni complete sulla biologia umana, senza la mediazione di un operatore che può essere fonte di errore. Al tempo stesso la restituzione al mondo di Christine/Andromeda, se può dare l’impressione di un gesto riparatore, è invece il modo più efficiente per stabilire un collegamento diretto con il pianeta alieno (dal punto di vista del computer) e le sue creature, per attirare la loro fiducia e facilitare la riuscita del piano. Infliggere la punizione ad Andromeda, quando questa si discosta dalle istruzioni programmate, ha lo scopo di esternare la potenza della macchina e la sua determinazione; la produzione di un enzima miracoloso per la cura delle ustioni è invece il paternalistico dono con cui la macchina mostra anche la propria benevolenza, finta perché funzionale ad assicurarsi la collaborazione degli esseri umani. Per farla breve, il vecchio metodo del bastone e della carota, che evidentemente ha valenza universale. Dal canto suo Fleming è invece il campione dell’intelligenza umana; curioso, vivace, pronto a percorrere i sentieri della logica con flessibilità e intelligenza. Tale logica però rimane sempre e costantemente sotto il controllo di quella qualità, prettamente umana, che si può definire in vari modi: istinto, empatia, senso di appartenenza a un genere, prospettiva non-logica, capacità di sintesi intuitiva. È proprio quella qualità che semina in Fleming i germi del dubbio e del sospetto, che gli dona la capacità di ricostruire il quadro d’insieme oltre a ciò che la semplice analisi razionale dei dati consentirebbe. In mezzo c’è Andromeda: essere metà umana e metà macchina, terminale intelligente parzialmente autonomo, dotata di coscienza di sé ma terribilmente incatenata al suo padrone-creatore in quanto sua emanazione diretta. Fleming riconosce subito in Andromeda il progetto della macchina: il futuro prossimo venturo dell’umanità, privata della sua migliore qualità. Certamente meno incline a eccessi ed errori, ma proprio per questo meno “umana”, e pertanto svilita in un processo di apprendimento forzato dall’esterno. Andromeda è pertanto l’antesignana di tante creature semimeccaniche che la fantascienza ci ha mostrato, fino ad arrivare ai Borg dell’universo Star Trek. Nei Borg la perdita di umanità è resa anche visivamente, mediante la compenetrazione carne-metallo, ma il risultato è lo stesso: la volontà di assimilazione dell’organismo collettivo scritta nel software non può che essere attuata, aggredendo qualunque ostacolo come se si trattasse di una banale equazione da risolvere.

Fleming, riconoscendo in Andromeda questi tratti, l’affronta nell’unico modo che ha disposizione: non potendo batterla sul terreno della razionalità, punta a risvegliare la sua parte umana, scritta nel software genetico e che il computer ha copiato insieme a tutto il resto. La copia di Christine si rivela davvero perfetta in ogni dettaglio, poiché sotto le sollecitazioni di Fleming comincia a scoprire di possedere la suddetta empatia, qualità che il computer non è in grado di riconoscere e pertanto non può cancellare. E così facendo, Fleming involontariamente risolve il problema della comunicazione tra razze differenti: se la razionalità permette a chi ne possiede di più di sovrastare l’altro, l’empatia mette tutti sullo stesso piano, stabilendo pertanto un livello di comunicazione realmente paritario. Ecco che allora diventa possibile iniziare una reciproca comprensione tra specie, non basata su algoritmi e dati, ma su sensazioni e sentimenti, riconoscendo nell’altro un proprio simile in quanto anch’egli capace di provare rabbia, gioia, dolore, felicità. Sensazioni elementari e probabilmente comuni a ogni essere vivente, e questo a prescindere dal fatto di essere umani o insetti, “naturali” o “artificiali”.

Grazie al lavoro di Hoyle e Elliot, e allo splendido adattamento di Cremaschi, A come Andromeda è riuscita ad essere la sintesi di tutto questo, presentando in un prodotto di largo consumo, quale è uno sceneggiato televisivo, più livelli di lettura, in grado pertanto di soddisfare l’appassionato dell’avventura e dell’azione quanto lo spettatore più esigente.