La fine è nota, recitava il titolo di un film di qualche anno fa, italico. Ed è proprio (anche) questo particolare, che non è noto, a dar pepe nel primo romanzo di Mario Gazzola: la fine particolare. Una fine anomala, che lascia piacevolmente spiazzati, con in bocca un fantastico gusto di nuovo, di creatività, di felice scelta dei tempi dei personaggi delle situazioni dei concetti da esporre delle frasi dette da personaggi convincenti…
Un esordio, ma non da esordiente.
Un esordio, ma che lascia soavemente sorpresi per l’enorme messe d’immagini neocyberpunk che sono in grado di illustrare la nostra società come sta diventando, come fa acutamente osservare Carlo Formenti nelle note di introduzione al romanzo. E poi, fantastiche trovate tecnologiche, cavalcate thriller per rendere e tenera viva l’attenzione del lettore fino alla prossima scena prossima trovata, alla prossima pagina… Pagine che si vorrebbe non finissero mai. Pagine troppo corte, che sanno sì di sf di derivazione Cyberpunk ma che odorano anche di speculazione sociale, di comprensione delle dinamiche che tendono a far accadere le novità tecnologiche; non c’è, al centro di tutto, l’uomo o il postuomo. No. Non c’è.
C’è l’evento che non considera l’uomo, c’è il cinismo che trascende dall’uomo e che è capace di trattarlo come un oggetto. C’è la voglia di infliggere dolori anche ai droni umanizzati (pure nell’aspetto) con scene asciutte ma vive di un selvaggio e di un erotico che non dimenticherete facilmente, senza però che tutto diventi splatter o eccessivo, come avviene in racconti di certi altri autori nostrani (non mi fate far nomi, sono abbastanza celebri).
Finito il romanzo, si rimane a ciclo aperto, si ha voglia di leggere ancora di quel mondo di quegli interpreti di quegli autori. Ma la fine è nota, recitava sempre quel film d’anni fa, e a arrivati a quel punto potrete davvero dire che sì, ora la fine è nota.
Libro da incorniciare, signore e signori. Davvero da incorniciare, dentro di sé e nelle protesi acustiche di un critico musicale.
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