Quando guardiamo un suo lavoro ci accorgiamo di una sorta di ‘tocco alla J.J. Abrams’, paragonabile a quello che avevano grandi autori della storia del cinema come Lubitsch o Kubrick. Qualcosa che rende ‘unico’ il suo lavoro. Lei riesce a spiegare razionalmente quello che lei vede e che gli altri sembrerebbero, invece, non vedere?
Sinceramente non so spiegare razionalmente quello che succede. La realtà è che il mio approccio a qualsiasi progetto è quello di riuscire a trovare degli elementi che mi danno i brividi. Erano questi stessi brividi a farmi emozionare da piccolo quando guardavo, per esempio, Ai confini della realtà. So che ai suoi lettori potrà sembrare stupido, ma io credo che quando qualcuno nella vita ti racconta qualcosa che ti emoziona, ecco che quella diventa una storia da esplorare. Il mio lavoro non è tanto quello di vedere, ma di emozionarmi nel racconto o nel suo ascolto da parte delle persone che lavorano con me. Puoi provare a intellettualizzare quanto vuoi, ma le cose che funzionano davvero sono quelle cui reagisci in maniera spontanea e immediata dicendo “Questa è davvero una grande idea!”. Quando scegli gli attori per i tuoi film e le tue serie televisive non operi seguendo la razionalità, ma seguendo l’istinto. È come quando ti innamori. Non si tratta di calcoli intellettuali, bensì di una scelta del cuore.
Alle volte non si sente un po’ come qualcuno in grado di “vedere i colori” in un mondo di Hollywood popolato troppo spesso da cineasti ed executive degli Studios “daltonici”?
La realtà è che tutto sta nell’essere fedeli al cuore del materiale con cui ti stai confrontando. Ovviamente la maniera migliore per farlo è prestare una grande attenzione anche a quello che accade fuori dalla storia, ovvero a quello che interessa davvero il punto di vista del pubblico. Se tu sei davvero interessato al tuo lavoro e non solo perché lo devi fare, ma perché provi una grande passione per quello che racconti, ci sono buone probabilità che il pubblico risponderà in maniera entusiastica. Io credo che il pubblico, oggi come sempre, sappia distinguere quello che è solo un lavoro da quello che è proposto loro con una certa dose di passione.Non credo sia questione di essere daltonici, ma di essere appassionati. Quante volte ci capita di vedere film perfetti dal punto di vista estetico, ma che mancano dell’amore del proprio autore? Gli spettatori, in maniera assolutamente non razionale, sono perfettamente in grado di percepire la passione o la sua mancanza all’interno di una storia. La chiave del lavoro è avere quella passione che il pubblico percepirà anche quando, alla fine, il tuo progetto verrà decostruito in maniera razionale.
A proposito di razionalità: lei ha incontrato recentemente George Lucas. Che cosa vi siete detti?
George mi ha dato un consiglio: perché non metti delle spade laser in Star Trek? Ovviamente non gli ho dato retta…
Chi è il suo idolo come regista?
So che può sembrare un cliché, ma per me Steven Spielberg rappresenta il mio idolo. Sono cresciuto con il suo cinema e da piccolo ricordo di avergli scritto spesso delle lettere cui, devo ammetterlo, lui non ha mai risposto… Ha avuto una grandissima influenza sul mio lavoro e, in qualche inquadratura, credo si possa vedere come gli rendo omaggio. Il segreto, però, nel nostro lavoro è sempre quello di non copiare mai nessuno.
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