Moore riesce in definitiva, come abbiamo già accennato, a demolire pezzo per pezzo la figura dell’eroe immortalandone al contempo il mito in una modalità comprensibile da un’epoca in costante mutamento. Come in V for Vendetta i personaggi di Watchmen riescono ad emergere non grazie alle loro doti ma grazie alle loro implacabili psicosi, nonostante loro stessi e nonostante cerchino di tutelare lo status-quo di una società che non può rimanere immutabile per preservarsi, diventano il punto focale ed inconsapevole di un cambiamento che non vogliono e non hanno cercato. “Il vostro più grande fallimento” - dice Adrian Veidt rivolto ai compagni riunitisi per fermarlo – “sarà il vostro più grande successo” pensando di aver salvato con un unico e roboante gesto la razza umana da se stessa, pensando di aver sacrificato la propria anima in un gesto che “alla fine” si è rivelato quello giusto. “Nulla finisce, nulla ha mai fine” saranno però le ultime parole del Dottor Manhattan in un’agghiacciante chiusura che vanifica in una semplice frase il significato di quanto accaduto fino a quel momento. Il mutamento viene ironicamente portato dalla voce di un essere che dall’inizio della vicenda è stato l’incarnazione del determinismo e dell’immobilismo, da un essere destinato, pur nella sua onnipotenza, a trovarsi a sua volta vittima inconsapevole come i suoi compagni dell’inarrestabile legge che vuole proprio nel cambiamento il motore e la genesi di ogni cosa: una chiave di lettura fra le tante utile forse per capire uno dei cardini fondamentali di quanto l’autore voleva comunicarci fin dall’inizio. Watchmen diventa non solamente un intricato meccanismo di anti-venerazione o di rottura verso il “culto dell’eroe” di vecchio stampo ma una “violenza programmata” per disintegrare le parti inadeguate e statiche di simboli che per sopravvivere in un nuovo ambiente avevano senz’altro bisogno di cambiare, una pressione evolutiva rivolta verso il significato di eroe.
Proprio per questo motivo i dodici albi usciti dal 1986 al 1987 per la DC Comics rappresentano uno dei momenti fondamentali per la storia del fumetto contemporaneo e proprio per questo il fumetto era il miglior mezzo possibile per rendere in chiave moderna idee e significati presenti da millenni nel nostro bagaglio culturale. Sarà quindi difficile per Zack Snyder rendere la completezza di un’opera di questo genere in un mezzo così riduttivo, per il messaggio portato, come il cinema. Watchmen si configura infatti come una vera e propria opera multimediale ante litteram in cui l’aspetto grafico e visivo sono solo fili di un arazzo molto più complesso che nutrendosi di quanto gli stava intorno, come l’arte cinematografica stessa, è diventato ben di più della somma delle singole parti. Un buon successo sarebbe già raccoglierne lo spirito e trasmettere almeno quella sensazione di cambiamento e di evoluzione alla base di tutta l’opera.
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