Questa struttura narrativa viene applicata dal macroscopico al microscopico in un’iterazione continua di cui è difficile scorgere l’inizio e la fine. I frequenti cambi nel punto di vista del narratore, le continue allusioni a capisaldi dell’immaginario contemporaneo ed antico, da William Blake a John Milton fino ai Grateful Dead, i flashback ed il perfetto incastro di questi elementi su di un’analisi acuta e disincantata dei fenomeni più agghiaccianti dell’epoca contemporanea creano una ragnatela multiforme che riesce a solleticare e ad avvinghiare l’attenzione del lettore su dimensioni diverse. L’opera grafica di Dave Gibbons si nutre e va a sviluppare completandolo l’impianto narrativo di Moore. Disegnatore di stampo classico, con un tratto pulito e quasi asettico, Gibbons, da bravo inglese, si forma come Moore sulla rivista 2000 AD per poi lanciarsi dal mondo del fumetto indipendente verso una proficua collaborazione con la DC Comics, illustrando alcune storie di Lanterna Verde ed inaugurando proprio in un numero di Superman il sodalizio con il suo illustre conterraneo. Insignito del premio speciale Jack Kirby per il miglior esempio di sinergia fra autore e disegnatore proprio per la realizzazione di Watchmen assieme ad Alan Moore, Gibbons si lascia plasmare dall’atmosfera che emerge dalle tavole grezze del fumetto calibrando il suo stile personale sulle nuove modalità espressive che un’opera di questo tipo gli richiedeva. Invece di snaturare il suo modo di disegnare Gibbons lo reinventa completamente mantenendone l’aspetto esteriore, le immagini non diventano splash-pages volte a catturare l’attenzione con un’azione rutilante ed eccessiva ma si espandono in carrellate cinematografiche simili ad immobili fotogrammi capaci però, nell’insieme, di rendere un movimento ben più radicale e sottile rispetto a tecniche più grossolane. Ogni riquadro, ogni vignetta, pur mantenendo un impianto molto classico di realizzazione ed esposizione, si lega a quelle della tavola ricreando graficamente il gioco di rimandi che Moore usa sul livello narrativo. Viene a mancare o meglio viene consapevolmente alterata la gerarchia interna fra le vignette rendendole leggibili sia nel senso normale e tipico del fumetto classico sia in un quadro che comprende tutta la tavola come unità completa di comunicazione. L’interno stesso della singola scena è creato per essere compreso a colpo d’occhio e per dare informazioni differenti rispetto all’angolazione dello sguardo e dell’attenzione del lettore. In una griglia molto rigida ereditata dal fumetto tradizionale vengono quindi inserite modalità percettive tipiche del grande schermo in un’economia generale che guadagna decisamente in immediatezza e incisività. Spariscono le pesanti didascalie descrittive, spariscono le onomatopee e le linee di movimento sono ridotte all’essenziale lasciando la postura ed i gesti dei personaggi a trasmettere senza mediazioni quello che sta accadendo al lettore. Ogni particolare diventa quindi importante quasi soppiantando, di volta in volta, il reale protagonista della vignetta ed ogni particolare è curato in modo maniacale per mandare un messaggio. Basti pensare all’inespressività comunicativa di Rorschach, sempre impassibile e sempre con la medesima espressione, compensata ampiamente dai piccoli e quasi impercettibili gesti che compie e dalla coreografia dell’ambiente circostante. In fase di inchiostratura il lavoro di Gibbons viene rifinito da un bravo John Higgins che sceglie per l’occasione di utilizzare una vecchia tecnica coloristica basata su tre colori primari molto in voga nei fumetti Golden Age, quasi a scimmiottare e a richiamare l’eredità di un passato che si sta cercando di rivoluzionare.
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