Anche il montaggio cronologico delle due opere è alquanto particolare: siamo nel 2045, quindi appunto vent’anni dopo Infect@, ma i due romanzi sono temporalmente separati da sette anni. Insieme, però, coprono un arco di 24 ore, dal tramonto all’alba per L’algoritmo bianco e dall’alba al tramonto per Picta muore!. Come mai questa scelta?
Detto così sembra complicato, ma non lo è. Bisogna innanzitutto dire che le due storie costituiscono un mini ciclo e sono incentrate su uno stesso personaggio, un killer del futuro. Hanno sì un’ottica seriale, ma non per questo sequenziale. In realtà quando le si leggono si comprende subito il perché di certe scelte. E si scoprono altre “stranezze”. Nella prima storia, per esempio (L’algoritmo bianco), ci si accorge che ogni capitolo è contrassegnato da una sigla progressiva, come nella directory di un computer: “file 0.1, file 0.2...” fino al “file 1.4” (l’epilogo). Come spiego nel prologo, il motivo è che la vita del protagonista viene tecnicamente rimontata spezzone dopo spezzone, file dopo file, agendo sulla sua memoria. Nell’epilogo, invece, si descrivono fatti cronologicamente posteriori di sette anni a questo montaggio (il prologo, infatti, è il “file 1.3”). Altra stranezza: insieme, i due romanzi coprono il volgere di un’unica giornata, dal tramonto all’alba L’algoritmo bianco, dall’alba al tramonto Picta muore! Nel libro, insomma, la notte precede il giorno... C’è poi un’altra stranezza “cromatica”, legata al titolo delle due parti in cui è divisa la storia iniziale: “Bianco” (la prima) e “Grigio e poi nero” (la seconda). Dirò solo che i colori si riferiscono agli “stati” dell’algoritmo. Ma non voglio annoiare oltre con le spiegazioni...
Picta muore! - che nel volume è la seconda storia - è di fatto un prequel de L’algoritmo bianco e c’è un montaggio molto particolare: ce ne vuoi parlare?
Sì, la seconda storia è un prequel della prima. Motivo? Perché qualche volta tornare indietro è più intrigante che andare avanti. Può capitare di voler recuperare un episodio o un personaggio al quale non si è dato adeguato spazio prima: ma ci si rende conto che nell’ottica della storia quell’elemento non ha abbastanza futuro, mentre invece ha un passato molto interessante. Picta muore! è nato così. Sono tornato sui miei passi per ripescare un personaggio solo apparentemente secondario, un ragazzino un po’ speciale. È lui il collante dei due romanzi che, distanziati di sette anni l’uno dall’altro, in realtà - tra prologhi ed epiloghi - abbracciano un lasso di tempo di una quindicina d’anni. Scegliere di non procedere in modo cronologico può dare una prospettiva molto particolare a un ciclo.
Protagonista comune dei due romanzi è Gregorius Moffa, un killer un po’ cialtrone, ma anche molto spietato. C’è qualche figura della letteratura noir o del cinema a cui ti sei ispirato per creare questo personaggio?
Gregorius Moffa è il tipico antieroe di molta narrativa hardboiled, con un passato di compromessi poco cristallini, un presente tormentato e un futuro alla mercé del miglior offerente. Sporco dentro, ma abbastanza in gamba da uscire in modo tutto sommato pulito da molte situazioni critiche. Per essere un killer ha due caratteristiche decisamente “invalidanti”. Primo, è distratto, al punto di poter apparire poco accorto. Secondo, è pigro: anziché battere la città in cerca delle sue prede, se ne starebbe volentieri in poltrona a leggersi un buon libro. Ma ha anche un’intelligenza molto eclettica, ragiona in fretta e sa prendere le decisioni giuste al momento giusto. Qualche personaggio al quale lui e io siamo entrambi debitori? Per rimanere in ambito fantascienza, mi vengono in mente Hugo Cornelius Toorop di Maurice D. Dantec, Takeshi Kovacs di Richard K. Morgan e Jack Randall di Michael Marshall Smith. E naturalmente Rick Deckard di bladerunneriana memoria.
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