Stefano Carducci

Theodore Sturgeon diventa scrittore di western nel 1948, su richiesta di Don Ward, redattore di una rivista che godeva di qualche successo fra i lettori del genere. Nel giro di pochi anni, Sturgeon scriverà otto racconti (fra i quali due collaborazioni con Ward), tre pubblicati su riviste di genere, poi, alla crisi anche di questo mercato, due pubblicati su Ellery Queen’s Mistery Magazine e gli ultimi tre rimasti inediti fino alla pubblicazione della raccolta Sturgeon’s West del 1973. Esiste anche un paperback western del 1956, The King and Four Queens, scritto su commissione sulla traccia di un racconto, che era stato la base di un film con Clark Gable uscito in contemporanea con il libro.

Certo, la “frontiera” di Sturgeon non è nemmeno lontana parente di quella di Cormac McCarthy; questi racconti sono scritti palesemente per arrivare a fine mese. Ma Sturgeon non smetteva di essere Autore nemmeno volendolo. Anche in questi racconti, dove spesso la storia stenta a mettersi in moto, dove perfino la proverbiale musicalità della lingua di Sturgeon a volte suona metallica, bene, nonostante tutto la stile di Sturgeon vince sull’occasionalità, con la sua capacità di donare a ogni personaggio una voce propria inconfondibile, di far vivere un paesaggio con poche pennellate impressioniste, di rendere i moti dell’anima avvincenti e protagonisti del racconto. Il lettore vada a riprendere, se può, Cactus Dance, l’unico fra questi racconti tradotto in italiano (in La Stirpe di Giapeto, nella vecchia Futuro di Fanucci), storia di un botanico e una bambina abbandonata. E del peyote, agente magico non di trascendenza (come una dozzina d’anni dopo per Castaneda) ma di percezione profonda della natura dei rapporti umani. Sturgeon minore, d’accordo, ma uno Sturgeon “da trasferta” è sempre un autore in forma migliore di quasi ogni altro.

Il problema è che Sturgeon non è un autore facile da leggere, chiede al lettore un impegno intellettuale ed emotivo che è difficile ottenere, soprattutto in un ambiente di “genere”. Inoltre, per il contesto italiano, è un autore virtualmente intraducibile, proprio perché è impossibile tradurre in italiano tutte le sfumature – gergali, lessicali, di tono – che definiscono le innumerevoli voci narranti e i personaggi dei suoi racconti. Aggiungiamo a questo l’intoppo maggiore: Sturgeon non è un romanziere, è un maestro della narrativa breve, che già nell’editoria non di genere stenta, figuriamoci nel mondo delle tetralogie da migliaia di pagine.

Sturgeon condivide questi due difetti con altri grandi outsider della fantascienza che, come lui, rischiano di scomparire dagli scaffali delle librerie, se non dal ricordo dei lettori. Penso a Sheckley, Cordwainer Smith, Alice Sheldon/James Tiptree, a Thomas Disch che ci ha appena abbandonato.

Milena Debenedetti

Ho conosciuto l’opera di Sturgeon a poco più di vent’anni, quando, neolaureata e lavorando fuori casa, ricevetti in prestito da un collega appassionato di fantascienza il famoso Cristalli sognanti. Alle tre di notte, nel pensionato dove abitavo, la vicina di stanza abituata a vedermi andare a nanna alle nove, vedendo la luce sotto la porta venne a bussare per chiedere se mi sentivo male. Il fatto è che dovevo finire il libro. Una folgorazione come poche altre, non solo per la poetica, intensa, struggente, ma anche per l'aspetto innovativo dei personaggi, osservati con sensibilità quasi dolorosa. È diffuso aneddoto fra gli appassionati che, se vuoi “convertire” uno scettico pieno di pregiudizi che pensa che la fantascienza sia solo razzoni, devi fargli leggere Cristalli sognanti. Risultato quasi assicurato.

I personaggi, dicevo. I deboli, gli emarginati, i freak, i diversi, quelli ai margini della società, siano persone con qualche menomazione o mutanti con poteri che li isolano dal resto dell'umanità, sono visti comunque come esseri che hanno il diritto della dignità, e avrebbero anche tutti i diritti di amare e soffrire come gli altri, come la dolcissima e bellissima Zena.

In una fantascienza che all’epoca era ancora intrisa di personaggi sui generis, molto pudica sull’argomento del sesso e ben inserita nella società puritana, probabilmente, anzi, certamente tutto questo dava scandalo. Ma siamo sicuri che le cose siano poi così cambiate? Certo la sessualità di per sé non dà più scandalo e ci siamo abituati a ben altro, ma rivendicare l’affettività e la dignità dei “diversi” è tutt’altro che fatto scontato. Anzi, per certi versi assistiamo a un riflusso, a una schizofrenia ossessiva fra estrema libertà (spesso però coincidente con la mercificazione e la volgarità) e ossessioni, divieti e persecuzioni d’altri tempi. Soprattutto esiste un ripiego pericolosissimo, un arretramento su vecchi concetti relativamente alla razza, alla religione, all’omosessualità.

Così Sturgeon, come tutti i grandi, risulta attualissimo. Riesce a essere anche maestro di una sorta di horror sublimato, capace di vertici letterari, penso ad esempio al racconto Le mani di Bianca. Ma se vogliamo tornare a ribadire il concetto di attualità, cosa dire dello stringato ed efficace racconto It, con il suo mostro nato dalla spazzatura? È datato addirittura 1940, è l'esordio dell'autore, eppure si distacca di gran lunga dalla serie dei mostri convenzionali, dei blob minacciosi letterari e cinematografici, acquisendo un forte simbolismo, proprio per questa misteriosa e non spiegata alterità della creatura, per la sua significativa origine. E non siamo forse noi, adesso, alle prese con la stessa minaccia? Il mostro dei nostri stessi rifiuti, dell'inquinamento, persino, purtroppo, la mostruosità informe del concetto stesso di quello che consideriamo “rifiuto” umano, i diversi, gli altri che ci fanno paura. E così torniamo anche al concetto precedente.

Insomma, già questi accenni bastano e avanzano per capire che abbiamo di fronte un grande, che riesce a dare alla fantascienza il suo significato profondo di anticipazione, illuminazione, universalità e profezia. Che non è, lo sappiamo bene, solo scientifica o tecnologica.