Una giovane fotografa si trova coinvolta suo malgrado in un segretissimo esperimento che rivoluzionerà la sua vità in modo inaspettato.
Le incursioni di Terry Moore nel fumetto mainstream sono poche e ben circostanziate, solo ultimamente lo vediamo apparire un pò più spesso in miniserie come Runaways, al fianco di un autore del calibro di Joss Whedon, o come Mary Jane Loves Spider-Man di cui curerà il rilancio. Il nome di Moore è da sempre legato infatti alla sua opera meglio riuscita: Strangers in Paradise, che dal lontano 1993 ha curato in ogni suo aspetto fino alla conclusione preventivata per il 2007. Su Strangers si è formato come disegnatore e sceneggiatore, ha raggiunto un discreto successo ed ha anche visto i suoi sforzi coronati dall'Eisner Award (1996) per la miglior storia serializzata. E' naturale che con la fine di quest'opera, cui ha dedicato quasi quattordici anni della sua vita, Moore si sia cominciato a chiedere cosa voleva e poteva fare dopo di non prettamente o solamente commerciale, discostandosi sia dai grandi editori sia, almeno nel progetto, dalle tematiche di Strangers in Paradise: la risposta è stata fantascienza, così è nata Echo.
Disegni, sceneggiatura e dialoghi come sempre sono curati in toto dall'autore e come sempre la struttura del fumetto è classica, con vignette ben delimitate, narrazione lineare e l'uso esclusivo del bianco e nero. E' strano vedere questo stile narrativo e soprattuto il personalissimo tratto di Terry Moore associati ad un contesto che potrebbe esser uscito da un buon episodio di The Fringe ma nondimeno è un'esperimento che parrebbe avere in sè le carte per funzionare. L'armatura in metallo liquido che vediamo nelle prime pagine magari non accontenterebbe i lettori visivamente più raffinati ma, nel contesto, diventa palusibile ed i particolari ancora ingenui o sbozzati vengono fagocitati da un buon ritmo e da uno stile che li inserice al loro posto come tessere di un puzzle.
Moore però non riesce ancora a discostarsi troppo dallo stile "problematico" di Strangers e nemmeno dalla caratterizzazione dei personaggi, a volte eccessivamente tormentati, che per anni lo hanno accompagnato. Julie Martin, la protagonista di Echo, riecheggia pesantemente i tratti della migliore Francine (Strangers in Paradise) mentre tenta con le unghie e con i denti di controbilanciare le innumerevoli disgrazie che la sorte continua a rovesciarle addosso, in un carico così eccessivo dallo sconfinare nel poco plausibile. La Henri Corporation ed il suo agente di punta ricordano l'organizzazione di Darcy Parker e comunque ad ogni angolo sembrano esserci in agguato un dettaglio o un'atmosfera che portano alla mente l'opera precedente. Sembra quasi che l'autore, ancora non completamente a suo agio con un nuovo linguaggio, ricada su qualcosa che gli è familiare per tappare le presunte lacune o appianare le difficoltà che potrebbero presentarglisi.
Echo si dimostra quindi un buon fumetto, carico di potenzialità future e di capacità di evolvere non completamente sfruttate o espresse. Un esperimento rimasto a metà che richiederebbe un pò di fiducia da parte dell'autore per decollare in pieno.
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