“Ci sono certi film di cui non andrebbe mai fatto il remake, mentre nel caso di Ultimatum alla Terra, ho pensato che fosse possibile attualizzare la sua storia ambientandola oggi.” Così Scott Derrickson, racconta la genesi della pellicola ispirata al grande classico diretto da Robert Wise nel 1951, interpretato da Keanu Reeves, Jennifer Connelly, Kathty Bates e John Cleese in cui l’alieno Klatu chiede ai terrestri di smetterla di distruggere le risorse e l’habitat del pianeta dove vivono. "Nell'immaginare nuovamente questo film, abbiamo avuto l'opportunità di catturare un'autentica tensione che la gente avverte, una preoccupazione contemporanea legata al fatto che il modo in cui viviamo potrebbe avere delle conseguenze disastrose per il pianeta", dice Keanu Reeves, "Sento che questo film rappresenta una risposta a tali ansie. È uno specchio che mostra il rapporto che abbiamo con la natura e ci chiede di guardare all'impatto che abbiamo sul pianeta, per la sopravvivenza della nostra specie e delle altre". L’attore americano dice di credere alla possibilità della vita su altri pianeti: “Se credo agli alieni? Certamente. È impossibile che noi soli, nell’intero universo, siamo le uniche creature senzienti.” Puntualizza Reeves: “Non sono così convinto che esistano, invece, gli UFO, anche se alcuni miei amici carissimi mi dicono di avere avuto esperienze con gli extraterrestri e, quindi, a questo punto sarà meglio dire che credo anche negli UFO...”.
Per Derrickson, il progetto rappresenta il culmine di un incontro ravvicinato che ha avuto con Robert Wise quando era uno studente di cinema e un suo cortometraggio è stato accettato a un festival in Indiana in cui veniva celebrato il leggendario regista. A una cena privata con Wise, organizzata dal responsabile della programmazione del festival, Derrickson ha chiesto al due volte premio Oscar se aveva consigli da dare a un giovane filmaker: "Mi ha detto che, se ero interessato ai film di genere, avrei dovuto realizzare come primo lavoro un horror, perché è un tipo di pellicola che mostra veramente quello che puoi fare come regista", rivela Scott Derrickson. "Ho sempre tenuto a mente questo suggerimento ed è stata una delle ragioni per cui ho esordito alla regia con il film (rivelatosi poi un grande successo) The Exorcism of Emily Rose. Ma non avrei mai pensato che un giorno mi sarei ritrovato a parlare di una nuova versione del suo magnifico prodotto Ultimatum alla terra. Sono un grande fan del film originale: una pellicola molto progressista per la sua epoca, considerando gli effetti visivi, il modo in cui commentava le tensioni della Guerra Fredda di quel periodo e l'idea di vedere l'umanità dal punto di vista di uno straniero assoluto. È veramente un film magnifico, ma buona parte del pubblico moderno non l'ha mai visto. Ritengo che la gente dovrebbe conoscere questa storia e il remake era un'opportunità fantastica di raccontarla nuovamente in un modo che affrontasse i problemi e i conflitti che ci coinvolgono attualmente".
Cinquantasette anni fa gli alieni arrivavano sulla Terra e l’ultimatum del titolo italiano faceva riferimento alla distruzione delle armi nucleari. Oggi, invece, la richiesta riguarda l’ambiente e il clima…
Leggendo la sceneggiatura per la prima volta, mi sono reso conto che proprio in virtù di questo cambiamento, un remake aveva decisamente senso. Riguardando il film originale mi piaceva molto il modo in cui commentava le istanze sociali di quegli anni. Devo ammettere che prima di leggere lo script ero molto scettico: poi, però, mi sono appassionato all’idea di un progetto dove la storia originale veniva mantenuta pressoché intatta, mentre ad essere aggiornata ai nostri tempi era la sfera sociale e politica.
La fantascienza cinematografica degli anni Cinquanta ha quasi tutta un’ispirazione politica molto forte e, al tempo stesso, è fortemente influenzata da una serie inquietudini…
È vero: la SFX di quegli anni è basata principalmente su delle angosce riguardo ciò che accadeva nel mondo. In questo senso non avrei mai potuto fare un remake che fosse ambientato ancora negli anni Cinquanta, perché il senso di raccontare nuovamente certe storie è quello di poterle mettere nella prospettiva di ciò che accade oggi.
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