Sembrerebbe che l’evoluzione umana, quella del carapace biologico in cui abitiamo, sia arrivata al capolinea. Questa, almeno, è la conclusione a cui è giunto il professor Steve Jones dell’University College di Londra. 

Jones sostiene questa tesi da anni, ma recentemente l'ha ribadita in una conferenza all'UCL, ed è stata riportata da quotidiani inglesi e di rimando anche italiani.

Secondo Jones, soprattutto negli ultimi decenni l'evoluzione della nostra specie starebbe rallentando. Alcune cause sono evidenti: le migliorate condizioni di vita e la medicina non permettono più che i "meno adatti" soccombano, selezionando i più forti (si potrebbe obiettare che ciò avviene solo nei paesi industrializzati, perché nel Terzo Mondo si continua a morire come mosche). Inoltre, la globalizzazione porta a un continuo rimescolamento dei geni, non permettendo quindi a eventuali mutazioni di rafforzarsi in gruppi chiusi.

Meno condivisibile invece la motivazione che Jones porta come più importante, il fattore “padri anziani”. Ovvero, è accertato che l’età media dei papà occidentali si attesta sui 29 anni, e visto che (parole dello stesso Jones) “nei maschi il numero di divisioni cellulari necessarie per arrivare da uno spermatogonio (precursore dello spermatozoo) fino alla formazione di uno spermatozoo maturo cresce con il passare degli anni - e ogni volta che c’è una divisione c’è la possibilità di un errore, di una mutazione - per un uomo di 29 anni si verificano circa 300 divisioni tra lo sperma che lo ha generato e quello che passa al figlio: ogni divisione crea un’opportunità di errore, mutazione ed evoluzione, mentre per un uomo di 50 anni le divisioni salgono a 1.000».

È certamente vero che più alta è l'età minore è la qualità degli spermatozoi, aumentando quindi la possibilità di errori (che, ricordiamolo, purtroppo è infinitamente più probabile che portino a un nascituro con problemi e disfunzioni che non a qualcosa tipo Peter Petrelli o Wolverine). Difficile credere che l'età riproduttiva media nel mondo occidentale sia scesa; parrebbe più credibile il contrario.

Quello che è abbastanza evidente comunque è che a fianco dell'evoluzione biologica c'è un'evoluzione culturale, che già ora, grazie per esempio alla diagnosi pre impianto, sta contribuendo all'evoluzione della specie. E certamente i prossimi decenni vedranno altri sviluppi in questo senso.

Almeno finché la strada del postumanismo non ci permetterà di non dover più dipendere dai nostri carapaci biologici.