Fantasmi dall’Oriente
“The future is not a straight line. There are many different pathways. We must try to decide that future for ourselves.” (Akira)Ricercare elementi transumani e postumani nei fumetti giapponesi, senza contare per fortuna l’animazione, è come chiedere di venir travolti da una valanga. Le idee cyberpunk occidentali hanno trovato terreno fertile nel paese del Sol Levante, cui tanto deve la poetica dello stesso Gibson, ed hanno attecchito in una miriade di manifestazioni, rese ancor più potenti da un immaginario collettivo per anni abituato ad una rivalsa sul mondo occidentale proprio grazie alla tecnologia. L’ottica cyberpunk e con lei quella postumana diventano elementi nel calderone tecnologico che alimenta il lettore medio di manga, un lettore ben abituato a leggere di cyborg e di tecnologia innestata nel corpo umano fino almeno dagli anni ’60 (un esempio su tutti lo stupendo Cyborg 009 di Shotaro Ishinomori). Proprio però per la diffusione del concetto cyberpunk e molto velocemente di quelli post-cyberpunk, come il transumanesimo, portano ad una saturazione del mercato che si potrebbe definire a bassa risoluzione. In effetti già nell’Akira di Otomo (basti pensare da dove è arrivato e come si evolve Tetsuo) o nei newtype di Gundam (siamo in pieni anni ottanta) si respirano particelle di postumanismo ma solo in rarissimi casi riusciranno a coagularsi in un disegno organico, in un’analisi sulle ricadute sociali della visione postumana (riflessioni già di per se stesse estranee all’ottica giapponese). Possiamo provare comunque a raccogliere un paio di fermi immagine significativi per dar conto degli estremi dello sviluppo del fenomeno. Il maestro naturalmente, di cui si parla in modo approfondito nella sezione cinema, non può esser altrimenti che Masamune Shirow con il suo Ghost in the Shell, reso in modo splendido e fedele alla matrice iniziale dalle pagine del manga fino ad arrivare sul piccolo o sul grande schermo.
Un fumetto eclissato dal successo di Ghost in the Shell, in cui vengono trattate le idee che poi daranno vita al “fratello maggiore”, è l’altrettanto valido Appleseed (Appleseed, Seishinsha, 1985 - Star Comics, 1995), cui Shirow ha dato vita nel 1985. Siamo su Olympus, una piccola isola in mezzo all’oceano Pacifico, sopravvissuta, anzi sviluppatasi grazie al crollo delle grandi potenze mondiali in cui si cerca di ottenere un’utopia esportabile al resto del pianeta, dilaniato ancora da guerre e lotte intestine. Ad Olympus convivono in una società all’apparenza equilibrata umani, bioroidi (esseri umani costruiti artificialmente da templates genetici modificati) e cyborg, la tecnologia e l’informazione sono alla potata di tutti e le analisi politiche e sociali sono attuate di concerto al Gaia, un’immensa AI cui una buona parte dei bioroidi principali si trovano collegati in modo diretto. Gli elementi costitutivi di un mondo appena precedente alla Singolarità ci sono tutti e anche quelli di un’ottica transumana anzi, per alcuni aspetti, potrebbero essere ancora meno mediati che nel successivo Ghost in the Shell. Mentre infatti l’esistenza artificiale di Kusanagi porta con sé, in alcuni momenti, una sofferenza insita nell’incertezza del diritto all’esistenza del proprio essere più profondo ed in una costante ricerca di un’identità che le sembrerà sfuggire fin quasi alla fine, in Appleseed tutto questo manca. Bioroidi e cyborg non solo sono accettati dalla popolazione ma si integrano alla perfezione in una società creata all’uopo per esser un crogiuolo vitale di diverse versioni dell’umanità, tutte con il proprio contributo da dare all’utopia in fieri. Raramente Shirow si smentisce.
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