Il cinema nel cinema, una volta ancora. Con l'arte che decisamente tenta di imitare la vita secondo i sogni espressionisti del regista Murnau che nei primi anni venti decise di portare sullo schermo il Dracula di Bram Stoker. Non avendo ottenuto il benestare della famiglia dell'autore britannico (il film secondo la moglie del defunto scrittore non avrebbe reso giustizia al romanzo...) il regista decise di dedicarsi alla storia di un vampiro qualsiasi, quel Nosferatu che per sempre avrebbe associato i non morti a ben altre creature rispetto quelle in ghingheri e perfino fascinose portate sullo schermo prima da Bela Lugosi, poi da Christopher Lee e da una serie interminabile di attori più o meno famosi. E il Murnau interpretato da John Malkovich è un pazzo visionario, un maniaco deciso a tutto pur di portare sullo schermo una storia veritiera e credibile, costruendo quasi un esperimento scientifico con tanto di occhialetti e di camice bianco. L'ombra del vampiro diventa - dunque - la narrazione fantastica della lavorazione del primo film della storia del cinema dedicato ai vampiri. Una pellicola in cui -nella finzione modernista e metacinematografica - il regista tedesco decise di assoldare un vero succhiasangue per dare la maggiore dose di realismo possibile alla storia. Interpretato da Willem Dafoe, il vero Nosferatu è un personaggio rivoltante che tutti credono un grande attore seguace del metodo Stanislawski e che, invece, uccide lentamente la troupe un membro dopo l'altro. Anche se sulla carta L'ombra del vampiro può apparire un esperimento interessante e coinvolgente, la sua realizzazione lascia un po' a desiderare. Un po' per il senso di ibrido che viene portato sullo schermo (non film d'autore, mai pellicola horror) con il cinema nel cinema che diventa una specie di alibi per tessere le fila di una storia complessa e al tempo stesso frettolosa. Con l'ansia di seguire pedissequamente la lavorazione del film originale, con l'esercizio di stile di rendere le inquadrature le più vicine possibili a quelle del vero Murnau, la pellicola si perde non riuscendo a fare montare mai la tensione di una trama che lentamente va banalizzandosi. Il Malkovich ossessionato dalla purezza del cinema (il perché non è dato saperlo, né intuirlo), il Dafoe che imita per tutto il tempo i gesti e i movimenti del Max Schrech del film in bianco e nero, costituiscono delle belle prove d'attore che, però, smorzano i toni romantici, erotici e morbosi della storia originale di Nosferatu. Perfino la presenza carica di sensualità della bella Catherine McCormack (Braveheart) si perde nel mare magnum di virtuosismi e di messaggi al limite del contrastante. Poco omogeneo, affrettato e - soprattutto - vagamente incompleto L'ombra del vampiro è molto distante dal Demoni e dei di qualche anno fa in cui Ian Mc Kellen - James Whale interpretava in maniera coinvolgente e appassionante un altro genio omosessuale del cinema mondiale, in una storia delicata, poetica e intensa capace di restituire con forza la matrice indelebile del regista di Frankenstein. Troppo autocompiaciuto perfino in alcune soluzioni registiche di grande qualità, L'ombra del vampiro resta come un interessante esempio metacinematografico della rivisitazione di una storia legata ad un film. Era successo con altri esiti per l'Ed Wood di Tim Burton e nella pellicola dedicata alla realizzazione di Roma città aperta. Questa pellicola prodotta da Nicolas Cage, invece, delude per la sua eccitazione espressiva, sublimata in una poco attendibile costruzione fondata su rigidi teoremi, il cui svolgimento costringe la regia a narrare gli elementi più interessanti della trama. Una quindicina di minuti in più, una maggiore calma e una dedizione ad approfondire i personaggi, avrebbero reso questo film qualcosa di decisamente diverso e sicuramente migliore. Anche perché - e questo è decisamente l'elemento più rilevante - non scatta mai un meccanismo tale per cui - come capita perfino in Shakespeare in Love - lo spettatore ha l'idea di seguire un doppio filone narrativo. L'ombra del vampiro resta così un piacevole virtuosismo incapace, però, di trasmettere emozioni forti e di suscitare stimoli creativi o lirici. Una bella scatola, forse, ancora troppo vuota, nonostante l'adorabile confezione...