Nelle librerie da qualche settimana, l’ultima fatica, la sesta, di Tullio Avoledo dal titolo La ragazza di Vajont.
L’autore è nato nel 1957 a Valvasone in Friuli, laureato in giurisprudenza, ha fatto vari mestieri per poi fermarsi a lavorare presso l’ufficio legale di una banca di Pordenone.
Tullio Avoledo ha esordito nella narrativa nel 2003 con L’elenco telefonico di Atlantide (Sironi Editore) e con questo romanzo riscuote un ottimo successo sia di critica che presso i lettori e vince il premio “Forte Village-Montblanc Scrittore emergente dell’anno” seguono altri due romanzi che piacciono molto ai lettori: Mare di Bering e poi Lo stato dell’unione editi sempre da Sironi.
Attualmente i primi due titoli sopracitati sono disponibili nei Tascabili Einaudi e sempre presso questo editori sono usciti i romanzi: Tre sono le cose misteriose (2005, premio Super Grinzane Cavour del 2006) e Breve storia di lunghi tradimenti (2007). A settembre per le edizioni Ambiente e nella collana VerdeNero sarà pubblicato un suo romanzo breve dal titolo L’ultimo giorno felice.
L’autore ha dichiarato che la fantascienza è stato un suo grande amore di gioventù che ha lasciato nel suo animo un segno indelebile ricordandogli ora, la gioventù e le corse in edicola per comprare la rivista Robot. Suoi autori preferiti sono, in ordine di gradimento: Philip K. Dick, Gene Wolfe, Norman Spinrad e poi vari altri.
La ragazza di Vajont è la storia di un amore impossibile su uno sfondo tragico e apocalittico di una Italia del nord, forse di un altro tempo o di un mondo parallelo, che ha subito una guerra civile con gli orrori di una “pulizia etnica”.
La quarta di copertina. Il protagonista di questo romanzo aggira fra le macerie di un mondo in rovina, devastato da una violenta pulizia etnica accaduta da qualche parte nel tempo e del cui orrore s’intravede solo la coda. Una lunga cicatrice gli attraversa il petto, e una memoria difettosa gli impedisce di mettere ordine nei suoi ricordi e nel suo passato, creando un continuo e imprevedibile cortocircuito tra verità e finzione. Intorno a lui una realtà slittata, altra, eppure simile alla nostra, dove non esistono i telefoni cellulari, l’uomo non ha mai camminato sulla Luna e l’Africa è diventata un grande deserto radioattivo.
Immerso nel silenzio della neve sorge Vajont: un paese nuovo, costruito per accogliere gli sfollati della tragedia della diga, e diventato negli anni ricettacolo di «una fauna di sradicati, di gente senza casa e senza nazione che capitava lì e lì si fermava, come barche senza timone trascinate dalla marea». Le giornate del protagonista sembrano ripetersi uguali da sempre: le visite all’ospedale per una terapia che forse è la radice stessa del suo male, la passione per l’aeromodellismo, le chiacchiere con l’unico, ombroso amico che gli è rimasto, lo Storpio.
Fino a quando un pomeriggio, sulla corriera che lo porta all’ospedale, alla fermata di Vajont sale una giovane ragazza. «Ho in mente un volto, e il modo in cui la luce rende bella la sua pelle.
Un ciuffo di capelli biondi le vela lo sguardo. Così gli occhi sembrano guardarti da lontano, dalle profondità di qualcosa». E l’inizio di un amore impossibile, e al tempo stesso il momento della verità: «la memoria fa male», e niente potrà mai cancellare ciò che lui ha fatto. Perché se la realtà sembra vacillare, se è meglio guardarsi le spalle ogni volta che si esce di casa, la colpa è anche sua.
Tullio Avoledo, La ragazza di Vajont (2008), Einaudi, I coralli, pagg. 302, euro 17,00
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