– È tutto diverso – dice, ma non trova le parole per spiegarsi meglio. – Ogni cosa è più… viva.

Melissa soffoca una risatina. – Più viva?

– Già. Non saprei spiegarlo. Puoi sapere tutto di tutte le cose, senza toccarle.

– Per via del Virtuale, non è così?

– Sì. La banda è larga abbastanza per caricare tutte le informazioni di cui puoi avere bisogno.

– A scuola ce ne hanno dato una dimostrazione. Tu vai a scuola?

– Solo per le sessioni sociali. Per il resto, studio da casa…

– Ce l’hai un amico del cuore? La mia si chiama Aurora.

– Be’, veramente… – Lorenzo non sa bene come interpretare il quesito. Valgono gli assistenti holoware?

Poi Melissa s’intromette nuovamente nei suoi pensieri. – Siamo quasi arrivati. – La sua voce è una linea di penetrazione psichica.

Davanti a loro il fronte degli alberi, compatto in tutte le altre direzioni, si fa più rado. Tra i rami e i tronchi si profila, poco distante, il muro scalcinato di un edificio.

– Eccoci qua – annuncia Melissa, emergendo sul limitare del bosco. – La nostra destinazione!

La loro destinazione è una vecchia stazione dismessa, su una linea abbandonata da tempo immemore. I binari sono invasi dalle erbacce: cespugli di rosmarino e finocchio spuntano dalle crepe che tagliano il cemento o l’asfalto sconnesso. La strada che porta fin laggiù non vedrà una macchina da qualche secolo: abbandonata agli elementi, come tutto il resto.

– Vieni! – dice Melissa, prendendolo per mano.

Il contatto lascia Lorenzo senza parole, in preda alla confusione interiore. Un posto sconosciuto, lontano da casa, senza nemmeno il conforto del Virtuale: si chiede se Mamma e Papà approverebbero. Ma tutta questa situazione ha il gusto segreto dell’avventura.

– Qui non viene mai nessuno – spiega Melissa. – È il mio nascondiglio. Quando ho voglia di starmene un po’ per i fatti miei.

Le porte e le finestre dell’edificio sono in pessime condizioni, quando non del tutto assenti. La stazione trasmette un senso profondo di desolazione. Da un angolo, d’un tratto, salta fuori un cane randagio. Ha il pelo raso, le costole che tendono la pelle, e le orecchie sul chi vive: li guarda con occhio vigile, li annusa a distanza, poi sgattaiola via ma senza fretta, come se non li giudicasse un vero pericolo.

La sensazione è di un che di spettrale.

– E devi ancora vedere il treno…

Lorenzo non ha il tempo di formulare il suo quesito che Melissa lo conduce oltre l’edificio. Su un binario morto giace un colosso di metallo, un mostruoso gigante arrugginito immerso in un sonno secolare. D’istinto, Lorenzo si connette al Virtuale e inoltra una richiesta uplink. Cerca una traccia di questo posto, in modo da raccogliere almeno qualche indizio utile per ricondurlo nell’ordine – storico e geografico – delle cose.

Tutto quello che ne ricava è una sensazione di obsolescenza: non c’è niente di utile negli archivi satellitari. Più forte che mai, dal suo arrivo, lo pervade l’impressione di trovarsi in un sogno. Ma non uno di quelli popolati dagli spettri elettronici che solitamente scivolano nella sua testa di notte, quando è a casa e si addormenta tra le braccia del Virtuale. Questo è un sogno a bassa tecnologia.

– Allora?

Lorenzo distoglie l’attenzione dal display virtuale.