Dovette ammettere che era ben diverso apprendere della situazione dal vivo rispetto a quanto gli giungeva alle orecchie dal suo ufficio governativo. In qualità di sottosegretario si era occupato con impegno della procedura aperta dinanzi al Tribunale penale internazionale della Nazioni Unite riguardo la responsabilità di “crimini contro l’ambiente” e di “crimini contro l’umanità” perpetrati nei confronti della Sicilia. Il governo dipartimentale era riuscito quasi ad uscire pulito dalle indagini preliminari, in quanto il rinvio a giudizio aveva riguardato il governo di Roma, l’Eni e l’amministrazione siciliana. Ma Prosperi sapeva che, nel bene e nel male, la responsabilità era anche dei Dipartimenti Meridionali, e prima o poi il Tribunale se ne sarebbe reso conto. Mancavano due settimane all’arrivo dei nuovi ispettori dell’Onu in Sicilia e Prosperi dovette ammettere che la situazione, anziché migliorare, era peggiorata. Se solo...- L’onorevole Prosperi? -, chiese una voce cortese alla sua destra. Si voltò; non si era reso conto, fissando distratto fuori dal finestrino, che un uomo si era seduto al suo fianco e un altro nel sedile di fronte. - Sono io -, rispose con un sospiro. Finalmente! Avevano dovuto aspettare che si desse praticamente alla fuga per trovarlo; forse non volevano agire nel capoluogo. O forse quella era la prima volta che Prosperi riusciva ad essere quasi solo, considerando che la carrozza era occupata soltanto da altre tre persone. - Molto piacere, Nicola Mascali. Il mio collega è Matteo Cantarella. Viaggia sempre senza scorta? -, chiese l’uomo seduto al suo fianco.- Non sono una persona molto conosciuta -, replicò Prosperi. - E del resto se si vogliono evitare guai la cosa migliore è viaggiare soli e senza fare molto chiasso. -Mascali sembrò approvare. Prosperi non aveva dubbi: i suoi metodi erano sempre piaciuti a quelli dei servizi, soprattutto perché aveva fama di essere una persona molto discreta.- Scendiamo a Gela, sottosegretario. Prenderemo un elicottero.
- Non mi piace volare -, replicò Prosperi. - Speravo che il ministro ve lo avesse fatto presente.
Mascali guardò il suo compagno di fronte a lui e poi si girò verso Prosperi. - Meglio chiarire subito una cosa, onorevole. Non si allarmi. Non siamo dei servizi segreti, tutt’altro.
Prosperi si sentì improvvisamente molto sudato. - Non siete dei servizi? -, domandò instupidito.
- No, tutt’al più facciamo servizi, servizietti discreti per conto di... altri.
Il cervello del sottosegretario iniziò a lavorare a scartamento ridotto, oppresso dall’ansia improvvisa. - Come facevate a sapere chi stavo attendendo?.
- Intercettazioni ambientali -, rispose quello semplicemente. - Sa, si usa così dalle nostre parti.
Bene, si trattava di decidere se erano mafiosi o autonomisti, tutto qui, pensò Prosperi. Idiota, idiota, idiota! Come era potuto accadere? Qualcuno aveva sbagliato proprio tutto, da qualche parte a Roma, e ora lui ne doveva fare le spese. Sperduto in mezzo a quell’inferno in mano a gente senza scrupoli. Ridicolo.
- Dove mi porterete? -, ebbe la forza di chiedere.
- Non sono autorizzato a dirglielo. Al largo, questo è certo. E l’elicottero sarà costretto a prenderlo, sono spiacente.
Modi troppo gentili per i mafiosi, pensò Prosperi. Ma anche per gli autonomisti; l’accento era siciliano, poco da dire. - Chi siete? -, volle sapere.
- Sicilia Libera. Sorpreso vero? Pensava che tutti noi autonomisti fossimo gente abbrutita che parla solo in dialetto?.
Prosperi non rispose. E grazie, si disse tra sé. Dovevano pur esserci dei vertici autonomisti da qualche parte, qualcuno che avesse abbastanza cervello in zucca da poter dialogare sottobanco con i politici e pianificare a lungo termine. Quelli non erano vertici, chiaramente; sicuramente non lo era quel Cantarella, un uomo silenzioso, guardingo. Ma probabilmente nemmeno Mascali; un leader non si esponeva così. E poi a lui quei nomi non erano noti, benché conoscesse a memoria gli identikit di quasi tutti i capi di Sicilia Libera. Anelli di congiunzione, decise. Public relations.
- Sappiamo che sta indagando sui fatti di Napoli, onorevole -, riprese Mascali questa volta con voce più bassa. - Le vogliamo facilitare il compito. Farle vedere un po’ di cose, in modo da chiarire fino in fondo quello che sta succedendo qui... o meglio, quello che sta per succedere.
A Prosperi quella frase non piacque per niente. - Farmi vedere cose significa compromettermi. O voi credete che mi farò comprare da qualche grasso petroliere con una gioviale pacca sulle spalle, o pensate di farmi fuori subito dopo. Nel primo caso state perdendo tempo, nel secondo state facendo una fesseria. -
Mascali annuì tra sé. - Le cose non stanno proprio così. Lei non ci serve né comprato né morto, ma così com’è.
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