Ma a rinnovarsi è tutta la fantascienza, a partire da quella più o meno avventurosa che affronta il tema dell’incontro con l’altro (extraterrestre, mutante) in una molteplicità di varianti: verbosa come nell’ecologia aliena del vendutissimo Dune (1965) di Frank Herbert; divertente e divertita come nelle saghe interplanetarie di Jack Vance, James Schmitz e Andre Norton; erudita come nei sincretismi religiosi di Roger Zelazny; problematica e complessa come nell’afroamericano Samuel R. Delany, e pensiamo anche a Babel-17 (1966), con una delle pià belle figure di artista ti tutto il decennio, una cyborg che deve sconfiggere il linguaggio della guerra, e a The Einstein Intersection (Einstein perduto, 1967), parabola sulla diversità in un mondo futuro che ha trasformato le icone del rock in un pantheon religioso. Di queste biologie e antropologie aliene gli esempi più alti sono quelli che dànno inizio alla science fiction delle donne, e soprattutto l’incontro col mondo androgino di The Left Hand of Darkness (La mano sinistra delle tenebre, 1969) di Ursula K. Le Guin: quasi certamente, il capolavoro di tutto il decennio. Il decennio, fra l’altro, si era aperto appunto con un’utopia androgina un po’ dimenticata, Venus Plus X (Venere più X, 1960) di Theodore Sturgeon. Quasi altrettanto utopici sono i romanzi migliori di Simak, in cui la provincia rurale dell’Ovest e del Midwest diventa il serbatoio di una Frontiera ancora in grado di raccogliere la sfida dell’accettazione dell’alterità. In La casa dalle finestre nere (1963) un veterano della Guerra Civile gestisce una “stazione di posta” per le visite di alieni: mentre la terra è sull’orlo della guerra nucleare, nel nome del suo ideale di comunicazione, il vecchio soldato è l’unico a poter effettuare le scelte necessarie a evitarla. Oltre a Disch e Silverberg, il maggiore fra i romanzi distopici è l’incontro fra televisione e potere politico in Bug Jack Barron (Jack Barron Show, 1969) del californiano Norman Spinrad; il romanzo è anche una riflessione autoironica, dall’interno della generazione hippie, su rischi e malafede dei proclami sul controllo «alternativo» dei media.
Con l’aiuto del Catalogo di fantascienza, fantasy & horror curato da Ernesto Vegetti, a cui rimandiamo per tutti i dettagli bibliografici, e delle proposte di lettura fornite nel libro da poco riedito, potremmo andare avanti molto a lungo con esempi di libri e autori. Qui ricordiamo solo le due opere di culto, che riempiono le biblioteche e l’immaginario di questa generazione di intellettuali (come dire? da Ken Kesey a Charles Manson) e lettori: Le guide del tramonto di Arthur C. Clarke, riscoperta di un libro scritto dieci anni prima (nel 1953) che fra scenari di salti evolutivi e una strana utopia globale sotto paternalistica tutela aliena fa dei giovani un protagonista collettivo, e Straniero in terra straniera (1961) di Robert A. Heinlein, storia di una religione fondata dal giovane figlio di astronauti naufragati, allevato su Marte dagli abitanti del posto e tornato sulla Terra, un culto basato sull’amore di gruppo e su un’esperienza mistica di comunione telepatica chiamata grokking. Entrambi i romanzi hanno, come sappiamo, aspetti drammaticamente contraddittori, ma è l’identificazione fra libertà e generazione giovanile a garantirne la popolarità.
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