Senza ripetere qui cose dette altrove, il decennio è nel segno di un nuovo pubblico, quegli studenti e nuove generazioni che fanno riferimento (anche se non necessariamente da partecipanti diretti) alla controcultura, al movimento pacifista e alla lotta per i diritti civili, che vanno all’università o comunque cercano di irrompere nel mondo della cultura. E scoprono la fantascienza, la più autoconsapevole fra tutti i generi della letteratura popolare.
Questo nuovo pubblico produce due casi editoriali (anche per la mole dei romanzi, senza precedenti finora), Dune di Frank Herbert e Straniero in terra straniera di Heinlein, che diventeranno il modello per l’editoria a venire, pur raggiungendo lo status di best-seller solo nel medio termine. Sono gli studenti, i giovani che stanno irrompendo nella scena culturale e politica, a farne testi di culto. In generale, la New Wave, la nuova ondata, è una SF poco tecnologica, che guarda dentro la società e dentro la psiche (continuando a rinnovare le “nuove mappe dell’inferno”, esplorando lo “spazio interno” come dice Ballard, affinando lo stile) ma anche fuori (i mondi, gli esseri, l’invenzione). Il centro motore ideale è inglese, con innovatori come Brian W. Aldiss, J.G. Ballard, John Brunner; Michael Moorcock, come direttore della fondamentale rivista New Worlds, catalizza una nuova SF, contrapposta ma non separata dalla tradizione. Con loro Samuel R. Delany, Thomas M. Disch, Harlan Ellison, Ursula K. Le Guin, Barry N. Malzberg, Joanna Russ, Robert Silverberg, Norman Spinrad e Roger Zelazny spingono in avanti il confine letterario con maggior consapevolezza dei loro predecessori, parlando direttamente a lettori che vanno all’università e che cercano un intrattenimento più avvertito, più colto e (in alcuni casi) più “politico”. Anche la veste, con la collana degli Ace Specials curati da Terry Carr, diventa più sobria, meno pacchiana.
La sperimentazione comprende anche le incursioni fantascientifiche dei primi romanzieri postmoderni, che Leslie Fiedler chiamerà “nuovi mutanti”. In William S. Burroughs la tecnica del riassemblaggio di frammenti narrativi intende mostrare la precarietà della percezione, sempre meno capace di distinguere il reale, in un’insopprimibile ricerca di libertà negli stimoli sensoriali e sessuali, in cui la ribellione non è necessariamente salvifica. Nel trittico composto da The Soft Machine (1961), Nova Express (1964) e The Ticket That Exploded (1967), si scontrano onnipotenti, aliene istanze intente a governare distopicamente la sensazione e il linguaggio, la speranza e l’immaginazione. A sfiorare la SF sono anche racconti e romanzi di Donald Barthelme, John Barth, Richard Brautigan, Ishmael Reed e Thomas Pynchon (soprattutto in L’incanto del lotto 49, 1966). Con altrettanta ironia, l’apocalittico finale di Ghiaccio nove (1963) di Kurt Vonnegut è un congelamento del mondo, a cui dà inizio proprio l’isola caraibica dove ci si illudeva di sfuggire alla distruttività delle grandi potenze. Nel capolavoro Mattatoio n. 5 (1969), la fuga dagli orrori della storia porta in un mondo in cui tutta la storia è sempre contemporaneamente presente, e il protagonista va e viene fra la prigionia nel pianeta alieno, il presente alienante dell’America odierna e il bombardamento di Dresda durante la Seconda guerra mondiale. L’unica via d’uscita è ammettere che il mondo è privo di morale o finalità, e non è il caso di imporne o cercarne una: l’unica risposta all’assurdo resta lo sberleffo che l’artista dissenziente può lanciare a sé stesso e al mondo.
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