In realtà saranno proprio questi (e altri) nuovi scrittori, con la loro “eccentricità” e l’“esasperato soggettivismo”, unitamente a quei “germi di disfacimento”, che cambieranno le carte in tavola. Ma diversamente dal passato la “rottura” dipenderà, anche da un nuovo atteggiamento nei confronti della realtà e del linguaggio.
Generalmente si sottolinea come la fantascienza, negli anni Settanta, risultasse tematicamente molto più emancipata rispetto al passato. Ed è vero. L’antologia Dangerous Visions ne era stata un alfiere. La fantascienza “donna” aveva evidenziato, in passato, pochissimi nomi eccellenti: Leigh Brackett, la già nominata Judith Merril, C.L. Moore (pseudonimo asessuato – per opportunità editoriali – di Catherine Lucille Moore), Ursula K. Le Guin (che però esordì nel 1964). Gli anni ’70 videro invece un’improvvisa fioritura di validissime scrittici d’una fantascienza “femminile” – molto spesso marcatamente femminista – che si staccavano vistosamente dai modelli del passato. Ricordiamo, fra altre, Anne McCaffrey, Phyllis Gotlieb, Naomi Mitchison, Octavia E. Butler, Kate Wilhelm, Elizabeth Lynn, Josephine Saxton, Pamela Sargent, Joan D. Vinge, Vonda McIntyre, Johanna Russ, James Tiptree jr (pseudonimo di Alice Sheldon). Tra le opere di queste autrici particolare rilievo ebbero The Female Man, 1975, di Joanna Russ (Female Man, Nord, 1989); i racconti della Tiptree, romanzi della McCaffrey, della Butler, della Mitchison (Diario di un’astronauta [Memoirs of a Spacewoman, 1962], La Tartaruga, 1988); di Kate Wilhelm; della Le Guin: La mano sinistra delle tenebre (The Left Hand of Darkness, 1969), Libra ed., 1971, I reietti dell’altro pianeta. Un’ambigua utopia (The Dispossessed. An Ambiguous Utopia, 1974), Nord, 1974.
Quanto al linguaggio che cambia, specie in alcuni autori più avveduti, scriveva Antonio Caronia in Incarnazioni dell’immaginario, prefazione al volume I labirinti della fantascienza. Guida critica (Feltrinelli, 1979):
La scrittura della nuova fantascienza (…) è impegnata in operazioni di destrutturazione del reale, di esplorazione di nuovi codici comunicativi, in un universo che la crisi e la scomposizione del linguaggio tiene costantemente aperto (…) La nuova fantascienza gioca con le [vecchie] convenzioni stilistiche e narrative fino a stravolgerle, a farne elementi autentici di critica e di conoscenza. (…) Questa fantascienza vuole caricare di ambiguità i [vecchi] temi del corpo e della sessualità per farne strumento di conoscenza reale e di messa in crisi dei modelli. Pensiamo alla distanza che separa fra loro tre opere che affrontano, ognuna a suo modo, il tema del cambiamento di sesso o dell’androginia: “Non temerò alcun male” di Heinlein (1971), La mano sinistra delle tenebre della Le Guin (1969), Triton di Samuel R. Delany (1976). ;Importante è anche, in tema di linguaggio, il perseguimento di un suo nuovo valore quale “sapere sociale” e “mediatore con il reale”. Si tratta di una mutazione linguistica capace di scendere più in profondità di quanto avessero mai saputo fare gli autori in precedenza. La nuova fantascienza degli anni ’70 mostra d’aver assimilato una consapevolezza della dimensione politica (in senso lato) del discorso, la capacità di articolare una diversità che rompe con il passato.
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